BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


mercoledì 30 marzo 2011

LETTERA APERTA AD UN IMMIGRATO

Caro immigrato,
sei giunto in Italia, dopo aver attraversato il Mediterraneo. Hai affrontato questo lungo viaggio tra mille traversie e perigli.  Hai speso cifre iperboliche e  abbandonato la tua terra ed  i tuoi cari. Hai messo la tua vita nelle mani di figuri tutt’altro che raccomandabili,che ti hanno imbarcato su una carretta del mare. Scappi da una situazione difficile, spesso drammatica, spinto dalla fame, dalla disoccupazione, dai disordini e dalla guerra. 
Adesso sei giunto in Italia, nel mio Paese, a casa mia. Magari speri di trovare la terra promessa, la realizzazione dei tuoi sogni o semplicemente sei di passaggio, in attesa di raggiungere altri stati.
Chiunque tu sia, da dovunque tu venga e qualsiasi cosa tu abbia vissuto sulla tua pelle o tu stia cercando, sappi una cosa: sei ospite a casa mia e non dimenticarlo mai, neanche per un semplice istante!
Io, come tutti gli altri italiani miei compatrioti e miei fratelli, ho una storia, una tradizione, delle usanze, dei valori e delle abitudini che devi rispettare non appena poggi piede nella mia terra. Una volta sceso da quell’infausta imbarcazione, la tua tragedia umana conosce una sorte diversa, magari migliore; ma in quello stesso istante cominciano le mie difficoltà, le difficoltà di tutti gli italiani. Voglio parlarti a nome di tanti italiani, (di tutti, purtroppo, è impossibile). Non sappiamo chi tu sia, né cosa tu stia cercando esattamente. Stai invadendo la nostra terra e forse non te ne rendi conto. Stiamo facendo quanto possibile per aiutarti; anzi stiamo già facendo molto di più di quanto sarebbe nelle nostre possibilità. Questo è un Paese martoriato: nessuna unità nazionale, politici e magistrati corrotti e fannulloni, disoccupazione, ammortizzatori sociali che funzionano poco e male, criminalità e mafia, enorme debito pubblico, patrimoni storico-artistici che crollano ed altri che rischiano di affondare, istruzione fallimentare, banche che comandano, sindacati rossi che siedono insieme al padrone …
E tu cosa fai?
Vieni a bussare alla nostra porta. Cerchiamo di aprirti e di aiutarti come meglio possiamo. Ma a te non basta: vuoi tutto e subito. Così quando non ti apriamo, cerchi di sfondare l’uscio. Quando ti diamo un riparo, modesto sì, ma che risponda a standard minimi di vivibilità, ti lamenti e dici che non è abbastanza. Proviamo a sfamarti; non ti basta quanto ti diamo e vai a rubare in casa di chi ti accoglie, invece di chiedere educatamente ciò di cui hai bisogno. Sappi che in condizioni simili versano tanti italiani, vittime delle catastrofi naturali e non solo. Ancora: bivacchi a frotte con i tuoi compagni di disavventure nelle nostre strade, nelle nostre piazze, nei nostri giardini e sulle nostre spiagge senza porti minimamente il problema se tutto questo possa provocare una qualche forma di paura o di insicurezza in tutti noi. Ti sorprendi anche che la gente del posto, stanca di questa babilonia e della casba che hai portato, cerchi di tutelarsi da sola, viste le difficoltà che incontrano i nostri rappresentanti istituzionali. Ci dici anche che siamo razzisti…
Ma ti rendi conto di tutto questo? Riesci a comprendere che siamo da soli nell'affrontare questa emergenza? Capisci che l’Italia deve fronteggiare da sola le conseguenze di una guerra che altri hanno mosso al tuo paese d’origine?
Non è colpa tua, certo.  Quella,come al solito,è dei fanatici dell’integrazione forzata, del multiculturalismo a tutti i costi e di altre balle del genere.
Tu però puoi fare tanto per aiutarci, con molto poco. Inizia a rispettare la nostra terra e le nostre leggi. China il capo di fronte alle nostre usanze, alla nostra storia e alla nostra tradizione. Porta un sacro rispetto per il nostro modo di vivere e di pensare. Comincia a collaborare con le forze dell’ordine. Smetti di scappare dai centri di accoglienza e di andare a rubare nelle case. Sii tu il primo a denunciare chi tra i tuoi compagni si macchia di questi atti. Ringrazia per ciò che ti viene dato, anziché lamentarti per ciò che non hai. Comprendi che l’Italia non può essere la terra di tutti e per tutti, perché proprio non possiamo permettercelo. E tieni presente che qualsiasi cosa possa capitarti da queste parti, non è neanche lontanamente paragonabile a ciò che potrebbe accadere dalle tue.
Se condividi e comprendi tutto questo, allora comportati di conseguenza.
Se, invece, ti risulta di difficile comprensione o semplicemente ostile, allora sei libero di raccogliere le tue cose e di andartene. Non ti ho cercato io, né lo farò mai. Fallo anche in fretta, prima di provocare definitivamente una lotta che nessuno di noi vorrebbe, ma dalla quale non possiamo esimerci,se necessaria. Hai le tue disgrazie e nessuno ti manca di rispetto; ma non puoi pretendere di anteporle alla nostra autoconservazione.

R.M.

P.S. Già che ci sei, vedi se riesci a farmi un favore: non è che riesci a portarti via pacifisti, ipocriti benpensanti, vecchi comunisti, massoni repubblicani, membri dei centri sociali e compagnia bella? Anzi, se riesci a portare via quelli, puoi restare al loro posto...

HANNO DETTO DELLA TRADIZIONE...

La forza, l'intelletto, la tenacia e la passione per conservare le nostre radici, per mantenere il ricordo di chi eravamo e per consegnarlo alle generazioni future!

"Cos'è la tradizione? È il progresso che è stato fatto ieri, come il progresso che noi dobbiamo fare oggi costituirà la tradizione di domani". (Papa Giovanni XIII).


"La tradizione è una bellezza da conservare, non un mazzo di catene per legarci".(Ezra Pound)


"La tradizione non [...] può venir acquistata in eredità; e se la volete possedere, dovete conquistarla con grande fatica"  T. Eliot


"Solo nella tradizione è il mio amore". (Pasolini).



lunedì 28 marzo 2011

QUELLI CHE PARLANO DI "DESTRA"...SENZA SAPERE COSA E' "LA DESTRA"!

Dopo la recente apparizione di Bocchino da Fazio, (salotto dei benpensanti,dove l’ovvietà ed il politically correct trovano sempre una sicura dimora), si è tornati a parlare ancora una volta di destra. Dico si è tornati perché,a suo tempo,l’aveva fatto anche Fini in altre occasioni, in particolare a “Vieni via con me”, altro programma condotto da Fazio e dall’«illuminato»,(leggasi profumatamente pagato e iper-sponsorizzato), Saviano. La sensazione è stata la stessa: quella del ridicolo.
Lasciamo da parte domande del tipo: “ma cosa c’entra il carnefice Fini con la destra?” e “da dove è uscito fuori Bocchino?”, personaggio che prima dello strappo operato dai falchi e dalle colombe di FLI, non si sapeva neanche chi fosse e che oggi,invece, pretende di rappresentare, per sua stessa ammissione, la «nuova destra, moderata ed europea».
Voglio mantenermi calmo ed evitare toni polemici. Per cui mi limito a sottolineare le solenni fesserie che vengono sistematicamente ripetute, nell’unico e malcelato intento di defenestrare Berlusconi.
La più grossa di queste balle riguarda la volontà di mantenere ancora in vita il binomio “destra” e “sinistra”. Davvero nessuno si è accorto che queste categorie, purtroppo, sono morte da tempo? A dire il vero, se ne sono accorti un po’ tutti; tuttavia, qualcuno ha tutto l’interesse a mantenere viva questa tragica finzione, evidentemente per cercare di accattivarsi le simpatie dell’elettorato.
“Destra” e “sinistra” sono due vittime illustri dell’attuale sistema liberale, consumista e “democraticizzante”, che schiavizza tutti i settori della vita sociale,politica e culturale per eleggere a suo unico interesse ed obbiettivo il profitto economico e, naturalmente, tutto ciò che intorno a quest’ultimo ruota.  Profitto, peraltro, di pochi, non certo di tutti.  La prova di questa mia affermazione è sotto gli occhi di chiunque: “destra” e “sinistra”, infatti,  hanno seguito lo stesso percorso involutivo, pur partendo da posizioni assolutamente antitetiche. Da socialista e collettivista la sinistra è diventata liberale ed individualista;  allo stesso risultato è arrivata la destra, originariamente tradizionalista e nazionalista. Entrambe, insomma, camminano a braccetto lungo lo stesso sentiero, fingendo di non accorgersi di essere diventate la stessa identica e tragica realtà: il braccio operativo di banchieri, industriali, petrolieri e compagnia bella.
E dire che buona parte dell’elettorato, capitanata da sedicenti intellettuali, vede in questo fenomeno una sorta di trionfo della democrazia: poveri idioti! Bisogna essere proprio ingenui per credere ancora a questa assurda parola: democrazia. Come se oggi il potere, (“crazia”), appartenesse davvero al popolo, (“demo”), per mezzo dei suoi rappresentanti!  
Idioti, perché la scomparsa della “destra” e della “sinistra”, (pur coi loro errori), significa essenzialmente una cosa: morte dell’ideale e della politica idealistica, cioè di quella politica che, superando la realtà concreta, si impegna a migliorarla, realizzando le proprie aspirazioni ideali.
Addio rivendicazioni sindacali e lotte operaie da un lato; addio difese dei sacri confini della Patria e contestazioni alla massificazione e alle oligarchie finanziarie, intellettuali e massoniche dall’altro. Addio, insomma, alla passione politica, alla forza del pensiero e, come si diceva sopra, a tutto ciò che è ideale.Restano solo  affari milionari, signori,palazzi e cortigiane da una parte, e il popolo nuovamente suddito dall’altra. Gli unici punti di contatto sono rappresentati dalle comparse mediatiche di questi signori e dalle tornate elettorali, ampiamente predeterminate dalle segreterie di partito. Partiti politici che, come ho già avuto modo di anticipare, costituiscono le legioni che annettono nuove province all’impero e che lo difendono, senza distinzione alcuna, perché tra tutti i partiti odierni non c’è distinzione che tenga, politicamente parlando: sono tutti la stessa massa di affaristi e beoti. Nessuno escluso.
Essere di “destra” un tempo significava combattere tutto questo; voleva dire scagliarsi arditamente contro questa aristocratica plutocrazia, goffamente travestita da democrazia, (giusto per dare l’osso da rosicchiare, così da metterli a tacere, a perbenisti, buonisti e repubblicani..ops!); asserragliarla con il ferro e con il pensiero, per restituire un ruolo centrale al popolo, alla Patria e alla Nazione. Ebbene, se oggi essere di destra comporta essere “liberale e liberista” ed avere come massima aspirazione quella di emulare Sarkozy, (uno che dichiara guerra alla Libia per scavalcare l’Italia nella corsa al petrolio), io smetto di essere di destra. Se credere ancora in un ideale aggregativo di Patria, di Nazione, di Tradizione,  di socialismo nazionale e tricolore, significa essere “fascisti”, allora ho tutto l’interesse a proclamarmi fieramente fascista . E me ne frego anche!
Anche perché, a ben vedere, i modelli di destra “moderna ed europea”, tanto caldeggiati dall’on. Bocchino, non è che stiano vivendo giorni da favola: Sarkozy ha subito una solenne batosta alle amministrative francesi, in cui ha ottenuto poco più del 18% dei suffragi, praticamente doppiato dai socialisti. L’inglese Cameron  è alle prese con una dura contestazione che spinge più di 200.000 persone a scendere in piazza contro il suo governo.  Anche la Merkel ha subito una cocente sconfitta alle amministrative tedesche, in cui ha perso una storica roccaforte.
L’unica destra che avanza in Europa, al contrario, è quella cd. “xenofoba ed estremista”, aggettivi buttati a casaccio, tanto per screditare l’avversario, da parte dei sostenitori ad oltranza della democrazia. In Francia oltre il 28% degli elettori si dichiara d’accordo con il “Front National”, salito all’11% alle amministrative. In Svezia il partito di estrema destra dei “Democratici Svedesi” è entrato per la prima volta in parlamento. In Ungheria, lo “Jobbik”, partito di estrema destra, è la terza forza politica. In Austria, Germania, Danimarca e Olanda, l’estrema destra è da tempo una realtà concreta, con tanto di rappresentanti istituzionali.

Insomma, mi pare chiaro che i cittadini europei, a cui  secondo Bocchino e compagni noi italiani dovremmo guardare e da cui dovremmo imparare, stiano facendo una scelta precisa: bocciare la destra “liberale e liberalista” di Cameron, Sarkozy e della Merkel, per abbracciarne una “xenofoba ed estremista”.   
Vorrei allora sentitamente ringraziare Bocchino e tutti gli altri sedicenti moderati per avermi messo nelle condizioni di operare questa attenta analisi e di aprire gli occhi: mi avete dato un motivo in più, (e dire che già ne avevo!), per non votarvi alle prossime tornate elettorali. Ammesso e non concesso che poi andrò a votare…

R.M.

sabato 26 marzo 2011

LE IDIOZIE DI PALMIRO TOGLIATTI.

Nell'anniversario della nascita di Palmiro Togliatti, definito nel corso del tempo "il migliore", provo a rinfrescare la  memoria degli Italiani sul suo conto.
Di questo signore ancora oggi si tessono le lodi; difatti, sotto la sua segreteria, il P.C.I. divenne il più grande partito comunista d'Europa,(arriverà a sfiorare il 35% dei consensi alla Camera alle elezioni del 1976, quando il testimone fu raccolto da Berlinguer). Un partito vicino a Mosca, dove i suoi membri erano soliti passare lunghi periodi d'indottrinamento forzato con lo scopo di divulgare il "vangelo comunista" al loro rientro in Italia. Togliatti fu bravo anche a ritagliarsi un ruolo importantissimo a livello internazionale: membro di spicco del Comintern e  vicino alla presidenza del Cominform. Fu amico e collaboratore di Stalin, nonché del maresciallo Tito. In Russia esiste addirittura una città che porta il suo nome.

Forse però non tutti gli Italiani ricordano certe sue esternazioni. Mi prendo la briga di riproporle, lasciando a voi qualsiasi giudizio in merito. Il mio punto di vista a circa questo figuro è sin troppo noto, (ed emerge già dal titolo). Buona lettura!

"è per me motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere dieci volte più del migliore italiano"
XVI Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica, tenutosi a Mosca nel 1930.


Parlando della situazione politica italiana ebbe a dire che si doveva: "abbattere il fascismo; scartare dalla scena politica i partiti d'opposizione costituzionale e riformista; riunire dietro di sé le masse operaie e contadine per un'azione di classe mirante alla conquista del potere" 
"Lo stato operaio. Programma d'azione 1924"


Allo scoppio della Rivoluzione Ungherese, etichettò come "fascisti" gli insorti d'Ungheria facendo pressioni sul PCUS perché li schiacciassero. Votò a favore della condanna a morte di Imre Nagy,  membro del partito comunista ungherese, favorevole ad un'apertura con l'occidente e personalità di spicco della rivoluzione ungherese, giustiziato nel 1958 a seguito del fallimento della rivolta.
 [Fonte: WIKIPEDIA- ENCICLOPEDIA TRECCANI]


Alla morte di Stalin, tenne un discorso alla Camera in cui diceva che: "Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero, è un gigante dell'azione. Col suo nome verrà chiamato un secolo intero, il più drammatico forse, certo il più denso di eventi decisivi della storia faticosa e gloriosa del genere umano [...]". Successivamente, i mutati equilibri all'interno del PCUS, (che pose in essere un'opera di destalinizzazione forzata), lo costrinsero a dire che: «Stalin divulgò tesi esagerate e false, fu vittima di una prospettiva quasi disperata di persecuzione senza fine, di una diffidenza generale e continua, del sospetto in tutte le direzioni». 
(Fonti: seduta del 6 marzo '53 e "L'Unità" 15 marzo '56).



Tra il 1945 ed il 1948 il PCI esalta Tito, che definisce il nuovo Garibaldi, e solidarizza con lui fino ad appoggiare le sue pretese sulla Venezia Giulia. Il 7 novembre 1946 Palmiro Togliatti va a Belgrado e rilascia a L'Unità la seguente dichiarazione: Desideravo da tempo recarmi dal Maresciallo Tito per esprimergli la nostra schietta e profonda ammirazione...
Il PCI si adegua immediatamente ed in occasione di un nuovo viaggio di Palmiro Togliatti a Belgrado, L'Unità del 28 maggio 1956 pubblica un'intervista in cui il segretario afferma: (...) Scopo della mia visita a Belgrado è di riannodare relazioni regolari con i comunisti jugoslavi dopo la grave frattura provocata dall'erronea decisione del Cominform (...). (Wikipedia)




Sempre a proposito dei rapporti con Tito scriverà: "Lavoratori triestini! Il vostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo più stretto"


Degli esuli istriani, dalmati e giuliani dirà: "in Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi qui abbiamo i banditi giuliani" [...]"Questi relitti repubblichini, che ingorgano la vita delle città e le offendono con la loro presenza e con l'ostentata opulenza, che non vogliono tornare ai paesi d'origine perché temono d'incontrarsi con le loro vittime, siano affidati alla Polizia che ha il compito di difenderci dai criminali. Nel novero di questi indesiderabili, debbono essere collocati coloro che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici. Non possiamo coprire col manto della solidarietà coloro che hanno vessato e torturato, coloro che con l'assassinio hanno scavato un solco profondo fra due popoli. Aiutare e proteggere costoro non significa essere solidali, bensì farci complici" (archivio centrale di Stato, Pres. Cons. Ministri,48-50, serie 1.6.1, fasc. 25049/1a).

Infine dalle pagine dell'Unità (1945), a proposito degli stessi esuli, fece scrivere: "Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi".




Non c'è che dire: un bell'esempio di politico "illuminato", "lungimirante" e "amante della Patria", vero? Onestamente, più che Palmiro Togliatti, mi sembra Palmiro Cangini, personaggio comico di Zelig..

R.M.
 



venerdì 25 marzo 2011

FRIEDRICH NIETZSCHE: "LE TRE METAMORFOSI"

Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo.
Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, piú difficili a portare.
Che cosa è gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato.
Qual è la cosa piú gravosa da portare, eroi? cosí chiede lo spirito paziente, affinché io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza.
Non è forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza?
Oppure è: separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore?
Oppure è: nutrirsi delle ghiande e dell’erba della conoscenza e a causa della verità soffrire la fame dell’anima?
Oppure è: essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia coi sordi, che mai odono ciò che tu vuoi?
Oppure è: scendere nell’acqua sporca, purché sia l’acqua della verità, senza respingere rane fredde o caldi rospi?
Oppure è: amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci vuol fare paura?
Tutte queste cose, le piú gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, cosí corre anche lui nel suo deserto.
Ma là dove il deserto è piú solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto.
Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria.
Chi è il grande drago, che lo spirito non vuol piú chiamare signore e dio? “Tu devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”.
“Tu devi” gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e su ogni squama splende a lettere d’oro “tu devi!”.
Valori millenari rilucono su queste squame e cosí parla il piú possente dei draghi: “tutti i valori delle cose – risplendono su di me”.
“Tutti i valori sono già stati creati, e io sono – ogni valore creato. In verità non ha da essere piú alcun “io voglio!””. Cosí parla il drago.
Fratelli, perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed è piena di venerazione?
Creare valori nuovi – di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone.
Crearsi la libertà e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, è necessario il leone.
Prendersi il diritto per valori nuovi – questo è il piú terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verità è un depredare per lui e il compito di una bestia da preda.
Un tempo egli amava come la cosa piú sacra il “tu devi”: ora è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose piú sacre, per predar via libertà dal suo amore: per questa rapina occorre il leone.
Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo?
Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sí.
Sí, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sí: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo.
Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo. –
Cosí parlò Zarathustra. Allora egli soggiornava nella città che è chiamata: “Vacca pezzata”.

giovedì 24 marzo 2011

ANNIVERSARIO FOSSE ARDEATINE: EPPUR MI CHIEDO PERCHE'...

Il 24 marzo 1944, 335 italiani, (tra civili e militari), perivano sotto i colpi delle SS, comandate da Herbert Kappler, durante il cd. “eccidio delle Fosse Ardeatine”. A quei terribili fatti prese parte, come certamente saprete, anche Erik Priebke, allora un trentenne capitano delle SS venuto dal partito Nazionalsocialista dei Lavoratori tedeschi.
Tutti i media si sono già incamminati lungo il sentiero del doveroso ricordo. Conservare la memoria di fatti così cruenti è d’obbligo, specie se si considera che si trattò di caduti italiani, purtroppo anche civili, scelti a caso dai tedeschi durante giorni di follia.
Ciò che non tollero è, invece, è la solita morale: noi siamo i “buoni”, i “giusti”, gli “agnelli del Signore”; loro i “cattivi”, “i peccatori”, “i figli di Satana”. Se commemorazione deve essere, si pensi alla storia, alle sue dinamiche e ai suoi fatti, lasciando da parte facili e melliflui sentimentalismi, ipocrite partigianerie  e retoriche varie. E se di storia si deve parlare, non vedo una sola buona ragione per dimenticare ciò che costituì la tragica causa dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, vale a dire i fatti di Via Rasella.
Tengo a precisare che non è mia intenzione propugnare una soluzione salomonica al problema, della serie "riconosciamo tanto a Tizio e tanto a Caio". Assolutamente no: certi giochetti li lascio ad altri! A me sta a cuore che le vittime vengano ricordate tutte, chiunque esse fossero e per qualunque fazione esse combattessero. Così come, tirerei un sospiro di sollievo se avessi la dimostrazione che nel 2011 parlare di certe cose non è più un tabù, un affronto al “valore di coloro che «liberarono» l’Italia” , ma semplicemente un atto dovuto nei confronti della storia.
Ebbene, allora perché dimenticare i fatti di sangue accaduti in Via Rasella il 23 marzo 1944?
Forse tanti di Voi non sanno neppure, perché purtroppo la storiografia di massa tende ad oscurare certi episodi,  che in quella data si è verificato uno dei più vigliacchi attentati che la storia di quegli anni ricordi.  Difatti, l’esponente del P.C.I. Giorgio Amendola, (uno cui l’attuale presidente della Repubblica Italiana ha più volte dichiarato di ispirarsi), avendo notato una certa abitualità da parte di un plotone di polizia del reggimento “Polizeiregiment Bozen”  nel passare dalle parti di Via Rasella dopo l’addestramento, pensò bene, (si fa per dire!), di dirigere la macchina da guerra partigiana nei loro confronti.
Un dato va precisato: il “Polizeiregiment Bozen”  era un reparto di polizia militare,  vale a dire un corpo con compiti di garanzia dell’ordine e della sicurezza delle forze armate stesse sul territorio. Mi spiego meglio: trattasi di attività che vanno dalla protezione delle strutture militari e degli ufficiali fino alla gestione dei prigionieri di guerra, al controllo del traffico, alla logistica ecc. Si evince che non è personale direttamente deputato agli scontri armati. Si può  anche presumere che non siano corpi dell'esercito armati di tutto punto, (infatti pare che i soldati della Bozen fossero armati di sole rivoltelle e qualche bomba a mano).
Ad ogni modo, il 23 marzo 1944 il partigiano Paolo Bentivegna si travestì da netturbino e nascose all’interno di un carrettino per la spazzatura un ordigno a miccia ad alto potenziale, fatto di 18 kilogrammi di esplosivo e spezzoni di ferro. Attese il passaggio del plotone, (composto da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, altoatesini/sudtirolesi), ed accese la bomba: 33 soldati caddero al suolo dilaniati dalla deflagrazione. Altri soldati morirono a seguito delle ferite riportate. Quanto alle vittime civili, pare che fossero due, un uomo ed un ragazzino di 13 anni. La storiografia, almeno quella "ufficiale", non è concorde nello stabilire se altri e quanti altri civili persero la  vita in quegli eventi. Lascio la contabilità dei morti agli storici e mi limito a far presente che a poca distanza da via Rasella, era presente una sorta di "campo profughi", pieno di sfollati…
Al di là di tutto questo,ciò che mi interessa è cercare di riportare alla luce tragedie dimenticate come questa, perché finalmente si giunga ad una memoria storica scevra da apologie e da sentimenti di appartenenza politica.
Una precisazione è d’obbligo prima di chiudere questo scritto e di lasciarvi, (spero), alla riflessione: la Corte di Cassazione ha di recente affermato , (all’interno di un giudizio per diffamazione che vedeva contrapposti “Il Giornale” e Paolo Bentivegna), che l’attentato di Via Rasella costituì “un legittimo atto di guerra”. Chiedo allora agli ermellini: è conforme alle leggi e agli usi di guerra l’attentato in abiti civili? Il  “Polizeiregiment Bozen”  poteva davvero considerarsi forza militare a tutti gli effetti? Non sarà mica che un simile attentato risulta conforme al diritto di guerra solo perché lo Stato italiano il 5 aprile 1944,con decreto legge n. 96, (confermandola poi con  decreto legge n.194 del 12 aprile 1945), stabiliva la non punibilità di tutti gli atti compiuti dai partigiani, qualunque essi fossero? Che bisogno c’era di amnistiare tutti i reati se era così chiaro che trattavasi di atti perfettamente rispondenti al diritto di guerra?
Come si usa dire in questi casi: ai posteri larga sentenza!

Roberto Marzola.
Fonti consultate:
·          Wikipedia: “eccidio Fosse Ardeatine” e “Fatti di Via Rasella”
·          Enciclopedia Treccani

mercoledì 23 marzo 2011

PATRIA E TRADIZIONE: BINOMIO INSCINDIBILE



Continuo a parlare di Tradizione. Stavolta voglio farlo riallacciandomi ai post che compaiono poco sotto, in cui si è parlato,partendo da prospettive diverse, di Patria.
I due concetti, infatti, presentano un importantissimo punto di contatto che li porta, se non a fondersi in una sola anima, quanto meno a viaggiare insieme. A tal proposito, basti pensare che il concetto primigenio di patria la fa coincidere con un
«territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni» o, in senso più ampio, con un «complesso degli uomini che abitano tale territorio e che sono accomunati da tutto un insieme di istituzioni, tradizioni, sentimenti, ideali, e simile»[1].
Come si può ben vedere, insomma, è il significato stesso di patria a richiamare in maniera assolutamente diretta quello di Tradizione.  Spingendosi oltre col ragionamento, si può addirittura arguire come la tradizione costituisca una pre-condizione essenziale per l’esistenza della Patria, la quale, pertanto, nascerebbe dalla «storia vissuta attraverso i secoli, dal processo unitario, dagli usi e costumi, dalle eredità ed esperienze,dalle convinzioni, dai principi religiosi e civici che hanno sostanziato  e permeato la Tradizione lungo i secoli, che l’hanno incessantemente ripensata e rigenerata»[2].  La patria non è quindi un’entità astratta e, per così dire, “statica”; il suo legame con la Tradizione la rende, al contrario, un concetto in continuo divenire,  alimentato  nella sua continua evoluzione da tutto ciò che è passato.  Entrambi i concetti nascono prima della politica, delle istituzioni, delle costituzioni. Non me ne vogliano i sostenitori e gli infatuati della Costituzione italiana, cioè coloro che, specie in questi giorni, vogliono far credere che la Patria e la Nazione nascono da quei centotrentanove articoli di legge: non potrò mai condividere le vostre tesi e non provate ad usarle perché tanto non mi convincerete. Non riuscirete a conculcarmi l’idea che di questi fenomeni si possa parlare solo dal 1° gennaio 1948; accettarla vorrebbe dire dimenticare secoli di storia, uomini grandiosi, epiche battaglie, grandi conquiste e tremende disfatte o,quanto meno, relegarli nei libri di storia, anziché serbarli nel cuore e nella mente perché siano d’esempio.  Le vostre imposizioni ideologiche non riusciranno ad impedirmi di ammirare ciò che emerge dal mio passato, che poi è anche il vostro passato; giammai, potranno nascondere che l’identità di questo travagliato Paese «precede di secoli lo Stato unitario, affonda le radici nella romanità,(aggiungo: la Roma antica ed imperiale, italica, dominatrice e civilizzatrice, amata e venerata come nessun’altro mai nei secoli a venire), e nel medioevo, per poi assumere forma artistica e letteraria ed unità linguistica a partire dai grandi poeti e scrittori in lingua italiana»[3]. Mi vengono in mente le sofferenze patriottiche di Dante e di Petrarca, i propositi unitari di Machiavelli, gli entusiasmi e le delusioni di Alfieri,  Foscolo,  Leopardi e Manzoni, nonché le imprese di D’Annunzio.
Questi (ed altri) uomini, queste (ed altre) storie formano la mia e la vostra Tradizione; amarla significa amare la patria, la patria di tutti e non solo di qualcuno. E’ giunto il tempo di elevare la coscienza delle proprie origini ad amor patrio, perché il senso della patria non sia più un «patto di cittadinanza rispetto alle istituzioni, ma il legame sociale e civile fondato sulla comune origine naturale e culturale, rielaborata nel corso nel tempo[4]», ossia un atto di consapevolezza, di profondo rispetto e di amore per se stessi, per la propria terra, per il proprio passato e futuro. Alla faccia di chi  pensa che tutto questo significhi intolleranza e prevaricazione nei confronti dell’altro…



[2] Marcello Veneziani, “La cultura della Destra”, Editori GLF Laterza, pag. 26.
[3] Volpe, “L’Italia in cammino”, 1927.
[4] Marcello Veneziani, “La cultura della Destra”, Editori GLF Laterza, pag. 38.


lunedì 21 marzo 2011

CONCETTO ANTROPOLOGICO DI TRADIZIONE

Tradizione

Enciclopedie on line
tradizióne Trasmissione di valori, norme, credenze, stili, atteggiamenti e comportamenti, che avviene tra individui o gruppi che normalmente appartengono a generazioni successive. In antropologia culturale il concetto di t. viene usato frequentemente come sinonimo di cultura. In Italia si designa con la locuzione storia delle t. popolari lo studio del folklore e, in genere, della cultura delle classi popolari con particolare riferimento alle società contadine, alle loro pratiche rituali, alle feste, alle fiabe, ai giochi, ai canti, alle credenze e ai proverbi
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DRESDA: L'OLOCAUSTO DEL POPOLO TEDESCO

Vista la sensibilità di qualcuno verso l’Olocausto, voglio affrontare una questione che spesso passa sotto silenzio. Vi è un’altra ragione che mi spinge a portare all’attenzione quanto segue, oltre all’amore per la verità e per la completezza: dato che “aquile e fasci romani hanno portato l’Olocausto del popolo ebraico”, allora credo proprio di dimostrare che sostenere apertamente i “liberatori” equivalga a condividere l’Olocausto del popolo tedesco.

Entriamo dunque nel nocciolo della questione.

Forse non tutti sanno che il vero significato della parola “olocausto” indica una «forma di sacrificio praticata nell’antichità, spec. nella religione greca e in quella ebraica, in cui la vittima veniva interamente bruciata. […]Per estensione, indica sacrificio totale, distruzione di gruppi etnici o religiosi, di popolazioni, città (spesso come sinon. di massacro, martirio, genocidio) […]»[1]

Credo, quindi, che possa essere legittimamente e pacificamente impiegato per descrivere i tremendi fatti che hanno riguardato la città di Dresda, (Germania, capitale della Sassonia), fra il 13 e il 15 febbraio 1945.
In quel periodo, l’aviazione alleata, (in particolare la R.A.F. britannica e la U.S. A. Army Air force ), fu protagonista di uno dei più sanguinosi episodi della Seconda Guerra Mondiale. Naturalmente, le due forze incontrarono l’ampio sostegno e la compiacenza dell’Armata Rossa.
L’ex generale britannico e  storico Basil Liddel Hart in proposito ha scritto: « Verso la metà di febbraio la lontana città di Dresda fu sottoposta, col deliberato intento di seminare la strage fra la popolazione civile e i profughi, a un micidiale attacco sferrato proprio contro i quartieri centrali, e non contro gli stabilimenti o le linee ferroviarie». Osserva anche che dal 1945 le forze alleate hanno posto in essere  il « deliberato ripristino della politica di “terrorismo aereo”, [...] che passò così ad occupare il secondo posto nella scala delle priorità, subito dopo gli obiettivi petroliferi e prima delle comunicazioni»[2].
Lo storico inglese descrive bene la portata della tragedia. Sulla città tedesca, (una delle città più romantiche d’Europa,  tanto da essere definita “la Firenze sull’ Elba”), furono riversate tonnellate e tonnellate di bombe:  279 tonnellate di bombe esplosive e 41 tonnellate di bombe incendiarie da parte degli americani; 1478 tonnellate di bombe esplosive e 1182 tonnellate di bombe incendiarie da parte degli inglesi. Tutto questo soltanto nei primi due giorni. Dal terzo in poi, furono lasciate cadere altre 1250 tonnellate, (tra esplosive ed incendiarie). [3]
Per cercare di capire ancora meglio la grandissima portata distruttiva del bombardamento a tappeto, bisogna considerare che la potenza di fuoco degli ordigni è stata stimata in 9 milioni di kilotoni di TNT; le due bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki  ebbero una potenza di fuoco di 12,5 milioni kilotoni di TNT. Il paragone è semplicemente angosciante!
Gli ordigni generarono una vera e propria “feuersturm” , ossia una tempesta di fuoco, (da cui era già stata tristemente colpita la città di Amburgo il 28 luglio del 1943[4]), con fiamme che superavano i 1500° di temperatura. L’immane spostamento di aria calda verso l’alto, dovuto al funzionamento delle bombe, determinò un consequenziale spostamento di aria fredda verso il basso, generando un forte vento mortifero che spingeva le persone dentro le fiamme. Gli incedi, alimentati dalla grande massa di aria calda, si propagarono per tutto il centro della città. Un’area pari a circa 15 km fu letteralmente rasa al suolo.
Furono colpiti quasi esclusivamente edifici civili e commerciali, mentre la ferrovia, (unico bersaglio legittimo della violenza bellica), venne colpita solo indirettamente.

Le vittime del bombardamento, (ripeto: quasi esclusivamente civili!) sono impossibili da determinare esattamente: si parla di 200.000 rifugiati[5] e di un numero di vittime che oscilla tra le 25.000 e le 35.000; altre fonti  stimano, invece, dai 150.000 ai 300.000 caduti[6].
Non mi dilungo oltre, nella speranza che possiate approfondire di persona le dinamiche di quel vile attacco, tutt’altro che unico nel suo genere. Bisogna però sottolineare due cose. La prima: pare che quegli ordigni fossero destinati alla città di Milano, a dimostrazione del fatto che non c’era un motivo preciso per compiere tali massacri, (quindi i soliti “giustificazionisti” e i fautori di una “teoria retributiva” volgessero lo sguardo altrove!), e che bastavano semplici ragioni per così dire tecniche. Già, perché venivano studiate a tavolino le caratteristiche costruttive delle città: se presentavano,ad esempio, vie strette e ravvicinate ed un’alta densità abitativa erano già ritenute idonee per questo tipo di guerra, indipendentemente dal fatto che la città fosse tedesca,italiana,giapponese ecc.   A tal proposito, vi consiglio di leggere qua: http://cronologia.leonardo.it/mondo35e.htm.

Già che ci siete, leggete anche la testimonianza diretta che il seguente indirizzo riporta, dato che mi pare di capire che, in certi casi, anche i racconti personali abbiano dignità di scienza, (salvo quando sono “faziosità di eredi di fascisti che raccontano la loro storia familiare senza uno straccio di riscontro storiografico”): http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=30660


La seconda.Su questi documenti, che mi sono preso la briga di segnalarVi,  formate il Vostro punto di vista. Io mi chiedo e vi chiedo come mai di questi episodi si parli sempre così poco. Sono sicuro che se domandassi qualcosa in proposito ad un campione di 10 persone, individuate a caso, ben poche tra di esse capirebbero il senso della domanda.
E’ semplicemente angosciante tutto ciò. Come si fa a credere che sia già stato tutto chiarito, tutto detto, tutto risolto? Come si fa a stare in pace con la coscienza quando nel 2011 ancora viene negata la memoria a così tante vittime? Come si fa, inoltre, a muovere accuse particolari a questo o quel movimento politico facendo leva sulla sua “perfidia”, quando quella stessa perfidia la ritrovi anche in quelli che dovrebbero essere gli eroi della situazione?
Tutto ciò, insomma, non fa che confermare un mio vecchio dubbio, ormai divenuto certezza: la storia non è quella che ci hanno fatto credere che sia. Ci sono migliaia di episodi volutamente  taciuti ed ignorati, spesso in assoluta mala fede.
Evidentemente, si deve alimentare la leggenda della lotta del bene contro il male  che aleggia attorno alla Seconda Guerra Mondiale, in cui vince sempre e solo il bene. 
Il mio accorato consiglio è uno solo: non fatevi ulteriormente prendere in giro da questi signori. Sono gli stessi che Vi salassano al supermercato, alla pompa di benzina, in banca ecc.
Alimentate una sana sete di sapere, perché la storia non è e non deve essere più un’opera di propaganda, bensì un doveroso servigio reso all’Uomo. Fate crescere in Voi la convinzione che non esistono “divinità terrene”, (come ho già scritto in altri post), e che tutti possono, anzi devono, fare i conti con quel giudice severo ma giusto che è la Storia, stavolta con la lettera maiuscola. E’ solo questione di tempo.
Come dice il sommo Poeta, “fatte non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

P.S. QUESTO SCRITTO LO DEDICO AGLI AMICI DI SEMPRE, CON CUI HO IL PIACERE ED IL PRIVILEGIO DI PARLARE, DI RICORDARE QUESTI EPISODI E DI CRESCERE.




[2] Bsil Lidell Hart, “Storia militare della seconda guerra mondiale”, 1996, Mondadori, 1970.
[4] “Germania kaputt” di Sven Hassel.
[5] “Dresden: Tuesday,Febraury 13,1945”  di F. Taylo

[6]Dresden im Luftkrieg: Vorgeschichte-Zerstörung-Folgen” di Götz Bergander, Abschlussbericht der Historikerkommission zu den Luftangriffen auf Dresden zwischen 13. und 15. Februar 1945;  Earl A. Beck, "Under the Bombs. The German Home Front 1942-1945 (Kentucky, 1986)

domenica 20 marzo 2011

L'INFORMAGIOVANI CI RIPENSA DI NUOVO

Coraggiosa la scelta dell'Informagiovani di tornare sui suoi passi e di stringere amicizia con "Ritorno alla Tradizione Montegranaro".

Tengo a precisare che non è un'associazione politica ma un semplice blog privato, con scopi culturali, non politici.  Come si vede, le speculazioni politiche da quattro soldi le lascio a qualcun altro...

Ringrazio quanti mi sono stati vicini in questo ennesimo episodio della neonata macchina del fango montegranarese.

Roberto Marzola.

UN'ALTRA GUERRA

L'Italia sembra incamminarsi verso una nuova guerra. Ancora una volta in terra straniera;a ncora una volta agli ordini dell'alleato americano. In passato mi sono cimentato spesso sul tema della guerra ed il mio punto di vista è ben noto. Stavolta, vorrei tentare un approccio diverso, supportato dalle norme di Diritto Internazionale Umanitario, (ossia le norme sui conflitti armati).

Gli U.S.A., la Gran Bretagna e la Francia hanno scelto di dichiarare guerra alla Libia. L'Italia si è dovuta accodare ancora una volta, stritolata come è da decine e decine di convenzioni sovranazionali che la privano della completa ed effettiva sovranità interna. A quanto pare, l'Italia si è limitata a mettere a disposizioni le proprie basi: un provvedimento già visto, adottato dal governo D'Alema ai tempi della guerra in Kosovo.
Proprio la guerra in Kosovo è, per certi versi, l'episodio che più ricorda l'attuale situazione in Libia, dato che lo scenario è quello di una forza governativa e statale contrapposta ad una ribelle, appoggiata da Stati terzi. Oggi come ieri, le ragioni dell'intervento risiederebbero nell'intento di mettere la parola fine ad una situazione di violenza interna.
Le analogie col Kosovo finiscono qua però. Difatti,  gli episodi di pulizia etnica in terra slava, (perpetrati dalle truppe comuniste- ma guarda un po', chi l'avrebbe mai detto?-di Milosevic), erano un fatto notorio; in Libia,invece, non c'è nulla di chiaro. Abbiamo un gruppo armato di ribelli e uno Stato territoriale che difende la propria sovranità. L'intervento armato delle forze straniere si legittimerebbe alla luce di  presunti "bombardamenti sulla popolazione civile". Questa è una definizione che dice tutto e niente! Infatti, non è dato sapere se quei civili che si vedono nei media siano o meno insorti e se siano il bersaglio diretto dell'azione statale. All'uopo, ricordo che il Diritto Internazionale Umanitario considera esistenti due diversi conflitti nella fattispecie: un conflitto armato internazionale tra Libia e USA,Gran Bretagna e Francia, cui si applicano le Convenzioni di Ginevra; un conflitto armato interno tra Libia e insorti, regolato dalle pochissime norme date dall'art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e dal Secondo Protocollo addizionale. L'insurrezione contro lo Stato resta un crimine contro lo Stato stesso, il quale è libero di usare la forza contro gli insorti. Questi ultimi, peraltro, non assumono lo status giuridico di combattenti e restano civili che prendono direttamente parte alle ostilità. Come tali possono essere legittimamente oggetto di violenza bellica e hanno una tutela giuridica ben più lieve: in particolare, possono essere condannati a morte e non godono dello status di prigioniero di guerra. Questa è la normativa internazionale e da lì non si scappa. Non esistono "il giusto" e "lo sbagliato". Non ci sono se né ma. Dura lex, sed lex!

Quindi da dove nasce tutta questa polemica?

Come al solito serpeggia la solita politica e covano i soliti interessi economici. Stavolta, addirittura, anche chi è sempre stato "pacifista" e ha sempre denunciato "gli interessi pecuniari che ruotano attorno ai conflitti" sembra essere favorevole all'impiego della forza contro la Libia. Nessuna  manifestazione pacifista degna di nota e ben poche di quelle assurde bandiere arcobaleno, (buone al massimo per un gay-pride). Solo a Milano si è visto qualcosa; tuttavia, il piccolo corteo pullulava di bandiere rosse e di slogan proletari, quindi non fa testo. E allora: dove sono i difensori della pace ad oltranza? Dove sono i "sinistrosi"accusatori degli USA, del loro imperialismo e della loro sete di petrolio? Dove sono i sostenitori della costituzione italiana e del suo art. 11? Dove sono quelli che si indignano per il colonialismo italiano, cioè quelli che lamentano l' "aggressione a genti indifese"?
Ad oggi nessuna traccia. Neanche un annuncio di manifestazione che sia uno!
Del resto si sa;  Gheddafi è stato di recente molto vicino a Berlusconi; non potendo fare la pelle all'imprenditore di Arcore, si accontenteranno di farla a Gheddafi. E di tutto il resto, compresa la coerenza, chi se ne frega!

E intanto l'Italia obbedisce ancora una volta ai diktat di una o più potenze straniere. Accade ormai sistematicamente da 60 anni. Ma non c'era stata la "liberazione"? Ah no, è vero: abbiamo barattato una dittatura nazionale per una ben più feroce dittatura forestiera. Ci siamo sbarazzati a cuor leggero della sovranità nazionale e non ce ne siamo neanche accorti, perché ci hanno dato due soldi ed un voto: praticamente un osso da sgranocchiare e tutti a cuccia. Il risultato è che non ci sono rimedi: in questo caso dobbiamo obbedire alle convenzioni sovranazionali e a quelle europee. Voglio vedere se, a tempo debito, gli altri contraenti di quelle stesse convenzioni assolveranno ai loro obblighi, quando l'Italia sarà invasa da orde di immigrati clandestini affamati che, magari, celano anche qualche terrorista. Quello, si sa, non si nega mai a nessuno.

Mi congedo con un dubbio: sarei  anche curioso di sapere come abbia fatto un presidente U.S.A., idolatrato dalle masse di sinistra, a vincere un premio nobel per la pace? Visto che è stato tra i primi a dichiarare guerra alla Libia, abbia almeno il buon gusto di restituirlo...

Roberto Marzola.

IL SENSO DEL RIDICOLO 2

<<L'ufficio si dissocia dai contenuti de "Ritorno Alla Tradizione Montegranaro" come da quelli di qualunque altra pagina politica.. si accettano le amicizie su facebook spesso senza leggere i contenuti delle pagine! E' sterile la polemica effettuata poichè nessuno ha commentato o fatto dichiarazioni in merito>>.


L'Informagiovani fa una comprensibilissima scelta: togliersi dalle paludi della sterile polemica politica. 
Adesso, "il migliore" può dormire sonni tranquilli: grazie alla sua impagabile opera per questo paese, è stata sventata l'ennesima trama nera, l'ennesimo golpe di borghesiana memoria. 
Peccato, perché una volta conquistato l'Informagiovani di Montegranaro, ci sarebbero state 
tutte le pedine per pensare ad una seria presa di potere, ad una nuova ed inarrestabile marcia
su Roma. Lo dico con sincero rammarico. Un così bene organizzato piano per la conquista del mondo sventato da una così solerte opera di controllo. 


Una vecchia canzone, firmata "Amici del Vento", diceva: 


<<Se non hai vinto mai un terno al Lotto,
se proprio oggi a te scade l'affitto
se hai perso per scommessa quattro cene
e come puoi pagar non Io sai bene,
ascolta che ti dico come fare
e ciò che fa per te ti voglio indicare:
rivolgiti sicuro a «Panorama»
la pagheranno bene la tua trama.
Racconta che un beI giorno passando per i boschi
scorgesti una radura con certi tipi loschi.
e insieme ai tipi loschi c'erano:
"2 carri armati, 1 antiaerea, 22 SS, 1 ritratto di Benito, Giulio
Cesare e 4 legioni, 2 svastiche, 15 forchette (non socialiste), La volpe del deserto, 2 cani da guardia, 1 cavallo bianco 1 crostata di mele".
E la soddisfazione avrai eccezionale
di esser nominato eroe nazionale!
Trama nera trama nera sol con te si fa carriera
Trama nera trama nera tu dai la felicità>>. 





Evidentemente, tutto cambia e nulla cambia!


R.M. 



sabato 19 marzo 2011

IL SENSO DEL RIDICOLO

Mi armo di carta e penna, (seppur virtuali), per replicare all'ennesimo attacco nei confronti di questo spazio.

Accolgo,innanzitutto, con grande piacere la particolare attenzione che certi blog molto "politcally correct" riservano a questo spazio internet: tutto serve a dare visibilità!

Esauriti i ringraziamenti di rito, mi appresto ad entrare nel merito della vicenda.

Tornato da un viaggio di piacere in un'amena località laziale, evidentemente il detentore del sacro fuoco della verità di Montegranaro deve aver ritemprato lo spirito e le membra, dopo le magre collezionate nei giorni scorsi, e torna all'attacco, convinto di avere in canna il colpo giusto. Così, si accinge a puntare il dito contro un'amicizia Facebook,(si avete capito bene quale sia il problema in nuce!), tra l'Informagiovani di Montegranaro e il profilo PRIVATO che reca il nome di questo blog, "Ritorno alla Tradizione".

L'autore del divertentissimo scritto vede in quell'amicizia virtuale una scelta di campo da parte dell'ente pubblico: a suo dire, cioè, l'Informagiovani si sarebbe macchiato del gravissimo crimine di avere amicizie "nazifasciste", (come è solito ripetere).

Stendiamo un velo pietoso sull'assoluta mancanza di serietà da parte dell'autore di quel post e sulla sua tendenza alla paranoia antifascista; con questi argomenti già si potrebbero riempire tomi e tomi di enciclopedie   psichiatriche. Andiamo oltre, per sottolineare essenzialmente due cose.
La prima, cioè la vocazione RAZZISTA  che "il migliore", (usando una terminologia che magari è cara al suo compagno di merende!), vorrebbe dare all'Informagiovani. Difatti, non è un problema se quest'ultimo intrattiene rapporti, (magari solo virtuali), con la CIGL di Fermo, con noti esponenti del PDI, di Progetto Veregra, del Circolo Tremaglia, o con altre persone che si fanno ritrarre in foto con tanto di falce e martello; il problema nasce nel momento in cui a questi rapporti si aggiunge un ragazzo amante della storia, (soprattutto romana!),della Tradizione, convinto sostenitore degli usi, dei costumi,dell'eredità, delle esperienze, dei principi etici e morali degli avi, svincolato da qualsiasi partito. Un ragazzo che, ad avviso di questo signore, è diverso da tutti gli altri e che deve essere messo alla porta. Bene: una ulteriore conferma dell'ipocrisia che contraddistingue questo signore,capace soltanto di riempirsi la bocca di "alti ideali" che si guarda bene dal mettere in pratica. Uno che un minuto propone un caffè ed il minuto dopo dichiara guerra,senza che nessuno gli abbia fatto niente di diverso dal replicare, (peraltro in maniera gentile, rispettosa e pacata),alle sue fantasticherie.
La seconda considerazione, invece, è rivolta ai membri dell'Informagiovani. Se volete cancellare l'amicizia fate pure; per me non è affatto un problema. Avessi bisogno del Vostro aiuto, di seguire le Vostre iniziative ecc. mi recherò personalmente da Voi, (sempre che ciò non vi faccia passare per "collaborazionisti"). Non ho certo intenzione di coinvolgerVi in sterili e puerili questioni, montate ad arte da chi, non sapendo rispondere con la cultura, vittima come è dei suoi pregiudizi e della sua ignoranza, cerca di alzare risibili polveroni mediatici.

Tanto si doveva.

Roberto Marzola.

P.S. A questo signore voglio anche dire: continua pure nella tua puerile opera di demonizzazione; cerca pure di dimostrare a tutti che "quelli sono tutti uguali". Forse qualche fesso che cada nella tua trappola lo trovi pure. Non sarà però così facile...

E POI MI DICONO "LA LIBERTA' DI PENSIERO,DI PAROLA E DI STAMPA"

Riporto un articolo de "il Giornale" in cui si fa luce su una sconcertante verità: in Italia certi argomenti sono stati e sono tutt'oggi considerati dei tabù ed incontrano il "niet" dei soliti baroni. Dedicato a chi si riempie la bocca di "alti ideali"...

Buona lettura.


"Il Mulino mi ha rifiutato per motivi ideologici"di Tommy Cappellini

Lo storico Alessandro Orsini, il cui saggio sulle Br fu bocciato dall’editore bolognese: "Dimostrando che il terrorismo rosso degli anni Settanta è figlio 'legittimo' del Pci ho infranto un tabù. E questo non è piaciuto agli ex comunisti"


Fa un po’ paura pensare che negli uffici della casa editrice il Mulino, una delle più importanti del nostro Paese, lo scontro ideologico che ha segnato la Guerra Fredda, gli anni Settanta e la Prima Repubblica sia ancora molto vivo e capace di influenzare la scelte editoriali. Tuttavia i rifiuti di pubblicare i saggi di Giovanni Orsina L’alternativa liberale. Malagodi e l’opposizione al centrosinistra (in seguito accettato da Marsilio e in libreria a fine mese) e di Alessandro Orsini Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario (poi pubblicato da Rubbettino) lasciano intendere che al Mulino certe guerre ideologiche non siano ancora finite.
Professor Orsini, anche lei «vittima» di un rifiuto editoriale poco scientifico?
«Se il mio saggio non avesse avuto il successo che poi ha raccolto, sarei più cauto, ma a questo punto posso affermare che la stroncatura ricevuta da parte del Mulino non è stato un buon esempio di lettura editoriale. L’impressione che alcuni studiosi hanno ricavato leggendo la relazione di rifiuto è che sia stata viziata da un pregiudizio ideologico. So da alcune fonti che il Mulino si è poi pentito di aver rifiutato il libro».
Partiamo dal libro, allora.
«Ci sono voluti dieci anni di lavoro per portarlo a termine. La mia tesi è che le Brigate rosse siano il frutto più puro e coerente di una tradizione rivoluzionaria che affonda le sue profonde radici nelle sette di tipo gnostico nate nel Seicento, nell’ambito della Riforma, e, più in particolare, nella rivoluzione giacobina del 1793. Questo fenomeno ha poi trovato il suo pieno sviluppo nel marxismo-leninismo e nelle rivoluzioni bolscevica, cinese e cambogiana».
Come dire, le Br non erano quei quattro gatti che qualcuno pensava.
«Al contrario. La vulgata ha sempre affermato che dietro le Br, di volta in volta, non c’erano altro che la Cia o la Dc, interessate a creare le condizioni per un colpo di Stato di destra, oppure, sulla scia di Luciano Canfora, si è detto che le Br non erano altro che “quattro imbecilli, ignoranti e forse anche prezzolati”. Io sostengo che questa interpretazione meccanicamente dietrologica ci abbia allontanato dalla comprensione di un’esperienza drammatica che, per giunta, non fu solo italiana».
L’idea che se ne è fatto?
«In una sorta di rito di rimozione collettiva la sinistra ha sempre negato che le Br appartenessero al suo stesso universo culturale. Facevano invece parte appieno della tradizione della sinistra rivoluzionaria. Sono stato uno dei pochi che è andato a leggersi tutti i documenti disponibili che le Br hanno prodotto: rivendicazioni di omicidio, di ferimento, risoluzioni strategiche, commemorazioni di brigatisti uccisi dalla forze dell’ordine, lettere private e volantini. Si è sempre detto che le Br scrivevano in modo pedante, che leggere i loro scritti era una perdita di tempo, ma questa indagine era quantomeno doverosa per entrare nel loro universo mentale».
Cosa ne ha concluso?
«La “linea di lavoro” delle Br si inseriva consapevolmente in quella di Lenin, Mao, Pol Pot: cioè purificare la società capitalista attraverso un uso spropositato della violenza. Nel capitolo “Il ruolo del Pci nella nascita delle Br”, poi, prendo in considerazione il ruolo pedagogico del Partito comunista nella formazione del brigatismo rosso. Funzione necessaria, ancorché insufficiente, ma comunque concreta. Tale conclusione non poteva trovare d’accordo alcuni ex comunisti che si sono confrontati con il mio libro. Una volta presentato il libro al Mulino lo hanno respinto con una relazione breve, ideologica, poco argomentata, che pareva avesse come fine lo stroncare il saggio».E lei che ha fatto?
«L’ho presentato a Rubbettino, che nel giro di pochissimo tempo lo ha pubblicato, considerandolo un libro di valore, con la prefazione del noto storico americano Spencer Di Scala. Rubbettino è poi stato contattato da importanti editori americani e ha firmato un contratto per la cessione dei diritti alla Cornell University di New York. Anatomia delle Brigate rosse sarà pubblicato, oltre che negli Stati Uniti, anche in Gran Bretagna, Canada, Australia, Sud Africa e in molti Paesi europei. Dopo la stroncatura del Mulino, il mio libro è stato definito “un libro di grande prestigio intellettuale” dal Journal of Cold War Studies, rivista edita dal Mit. Sono stato poi invitato a tenere lezioni, tra gli altri atenei, ad Harvard, al Mit, alla John Hopkins, alla Brookings di Washington. Ho già in programma un altro percorso di lezioni universitarie all’estero che toccheranno anche Gerusalemme. In Italia, invece, ho trovato molti guai».
Quali? Di fatto lei ha una voce su Wikipedia americana e nessuna su quella italiana...
«Alcuni professori italiani mi hanno sollecitato a costruire la mia carriera accademica all’estero affermando che le porte qui mi erano ormai precluse nell’ambito del mio settore di ricerca, la sociologia politica. Hanno inoltre aggiunto che in Italia pubblicare un saggio di valore non ha alcuna importanza se non si fa parte di una precisa lobby accademica».


In confronto quelli dell'OVRA erano dilettanti...


R.M.