BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


martedì 31 maggio 2011

E’ POSSIBILE UN DIALOGO TRA DESTRA E SINISTRA?

A  Roberto B. G.  , fedelissimo Camerata.

E’ il caso di trattare anche questo argomento: i rapporti tra destra e sinistra; anzi tra certa destra e certa sinistra.
Non lo faccio volentieri, sia bene inteso. L’ho detto e scritto urbi et orbi: per me destra e sinistra sono realtà morte e sepolte, assassinate dal capitalismo cinico e spietato. Tuttavia, mi tocca scendere nel campo del nemico, perché mi sono rotto davvero i coglioni, (fatemi passare il “francesismo”), di farmi prendere in giro da certa gente, che parla di dialogo ma è la prima a non volerlo fare, né forse può farlo, dato che dimostra di ignorare che, per dialogare, bisogna essere almeno in due ed è altresì necessario conoscere ciò di cui si sta parlando.
Per questi signori, infatti, dialogare non significa “conversare”, “discutere”, “parlare insieme”, come la lingua italiana vorrebbe; no, per loro significa “abiurare”, “rinnegare”, “ripudiare” e “smentire”. Devi liberarti in toto di qualcosa e convergere nella direzione che indicano se vuoi dialogare con loro; altrimenti cambia strada, lasciali in pace, perché non gli interessa farlo.  Automaticamente diventi un troglodita, un ignorante, un cafone, un soggetto  che è bene tenere alla lontana.
Certa gente non è neppure sfiorata dal dubbio che, magari, si possa avere le proprie certezze, le proprie ragioni e che le simpatie per certe posizioni siano determinate da scelte ideali e da un diverso approccio alla realtà presente, passata o futura. No: al contrario, essa è la detentrice della verità rivelata e, come tale, incontrovertibile. Il mondo è come dicono loro. Punto. Non sono ammesse repliche. Prendere o lasciare. Se osi contraddire sei uno sporco “revisionista”, un “negazionista” e, magari, pure un terrorista in fieri.
Bello, vero? Direi che è praticamente l’essenza del concetto democratico, di cui si erigono a difensori e che pretendono di spiegare ed insegnare agli altri.
Ma lasciamo stare l’incoerenza e la spocchia. Soprassediamo a queste pur imperdonabili carenze, dato che ve ne sono altre ben più gravi.
E cominciamo dalla prima, ovverosia l’oggetto delle pretese abiure: il Fascismo e tutto ciò che sia ad esso riconducibile, in maniera diretta o mediata. Ad una simile richiesta non si può che rispondere con  un “no” secco, perentorio e categorico. Le ragioni sono molteplici e necessitano di una profonda ed imparziale conoscenza dei fatti di quegli anni che, soprattutto a sinistra, manca del tutto. Conoscono solo la vulgata resistenziale, cementata da qualche idiota che per ambizione di poltrona ha coniato pure l’espressione “male assoluto”.  Studino, allora, i signori se vogliono dialogare; approfondiscano certe tematiche; si tolgano le fette di salame dagli occhi e siano pronti ad ascoltare. Magari scopriranno che affermazioni del tipo “Mussolini ci ha portati in guerra” , “la collaborazione massiccia coi tedeschi ”, “la creazione del disastro” et similia, sono null’altro che gravi inesattezze, se non  autentiche falsità storiche, appositamente messe in circolazione per colpire e criminalizzare l’avversario. Di esempi ne potrei fare a iosa; così tanti da riempire per mesi questo blog. Potrei dire che a causare il secondo conflitto mondiale furono proprio francesi, inglesi e russi: lo fecero prima imponendo delle condizioni di pace assolutamente vessatorie per la Germania con il Trattato di Versailles del 1919. Lo fecero dopo creando ad arte il casus belli della Polonia, (terra in cui si consumarono persino atroci massacri sulla popolazione di origine tedesca), e con il tentativo di aggressione alla Germania da parte della Russia, cui Hitler rispose con la guerra preventiva. Così come potrei parlare delle tante altre ragioni che provocarono lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e che non stanno, come la versione edulcorata della storia convenzionale vorrebbe, tutte nella “follia di Hitler”o nell’ “opportunismo di Mussolini”, come se quest’ultimo avesse potuto schierarsi con chi voleva spazzare via il suo progetto politico o rimanere neutrale!  Versioni che non spiegano ma, ripeto, semplicemente si prestano allo scopo di criminalizzare; a cui solo dei soggetti in assoluta e profonda mala fede possono credere fino in fondo. Situazioni delle quali, arrivati a questo punto, mi vedrò costretto a scrivere in futuro.
Non ci sono solo ragioni storiche; ci sono aspirazioni, ideali, progetti politici precisi, un profondo orgoglio ed un enorme senso di appartenenza. Ritengo sia una fesseria di immani proporzioni pensare di tagliare il filo che lega uno o più uomini al loro passato; men che meno  si può privare una parte politica delle proprie radici e della base ideale e culturale di riferimento. Sarebbe una castrazione, un’alienazione, un incredibile impoverimento che non porta a nulla, se non ad un appiattimento su posizioni grigie e scontate che, del resto, si conciliano benissimo con lo sterile parlamentarismo e con l’improduttiva retorica democratica di cui certi signori sono sostenitori. In fondo questo è ciò che vogliono: un avversario disarmato e ammansito, che li assecondi nelle loro decisioni e collabori ai loro progetti in maniera completamente remissiva. D’altronde, un simile rivale giammai potrebbe mettere in “pericolo” i traguardi che hanno raggiunto. Se poi questi traguardi sono un fallimento totale, cosa importa? Sono narcisi per definizione: amano passare la vita intera ad ascoltare i loro discorsi altisonanti, fatti di paroloni spesso insensati, banali e melliflui, e ad ammirare la loro immagine riflessa, incuranti del pericolo di essere vittime del loro stesso eterno compiacimento; sono, insomma, incapaci di affrontare un qualsiasi problema in maniera concreta e pragmatica, perché la loro attenzione è sempre distolta da altro.
Dicono poi di volere “una destra europea”, ma dimostrano per l’ennesima volta di non sapere neanche di cosa parlano. La destra europea, infatti, sta andando in una direzione precisa, molto più vicina a posizioni radicali e ben definite come le mie, che non a quelle che questi signori auspicano. Una destra europaea in cui domina la croce celtica, in cui, talvolta, riappare persino il nome del Fuhrer. Confermano, insomma, di parlare tanto per dare fiato alla bocca e per dissimulare le loro reali intenzioni.  Ma c’è da dire anche un’altra cosa: la Destra, quella vera, quella con la “D” maiuscola, ha ben altro concetto di Europa, assolutamente antitetico alla loro visione demo-plutocratica; un progetto che respinge con forza l’idea di un’Unione Europea ingabbiata in un disegno economico, in una logica di capitalismo sfrenato e senza regole, e che preferisce parlare agli europei di lingua, cultura e tradizione, per creare quell’Europa dei Popoli e delle Tradizioni, di cui ho già scritto. Mi paiono realtà stridenti, delle quali si può anche discutere, ma che tendono pur sempre ad essere autoescludenti.
Resta, infine, un’altra loro caratteristica ed è quella che mi dà più fastidio: l’idea di un necessario compromesso, la loro logica “transattiva”. Tu fai una concessione a me, io ne faccio una te, (lasciamo stare poi la “misure” di queste concessioni, che sono totalmente sproporzionate). Un qualcosa che mi lascia letteralmente senza parole, anche perché mi provoca dei gravi conati di vomito. Siamo arrivati alla logica di scambio anche sul piano ideale, non solo su quello della bassa bottega politica. Riuscite a capacitarvene? E perché, di grazia, dovrei fare concessioni a chicchessia? Il tempo degli inciuci e delle strette di mano sottobanco deve terminare!  Fino a prova contraria poi, io so chi sono, cosa voglio e come fare per realizzarlo. Se vuoi contribuire a realizzarlo con me mi sta bene; ma se vuoi dialogare solo per mettermi i bastoni tra le ruote, a me non interessa farlo.  In quel caso preferisco marciare da solo o, comunque, in compagnia di chi la pensa come me.
Rendetevi conto di chi è certa gente, (anche se per fortuna debbo dire che non sono tutti così!), e di ciò che vi sta chiedendo: una totale sudditanza umana, politica, sociale, ideologica, etica, morale e culturale; una resa incondizionata; un asservimento a 360° al sistema che dicono di combattere, ma in cui sguazzano come porci, (absit iniuria verbis!). Tutt’altro che le migliori premesse per un dibattito sereno e costruttivo, che sono loro i primi a non volere.
Non fatevi dunque ingannare dalle loro richieste in tal senso: per loro, infatti, dialogo non significa confrontarsi, pur mantenendo le proprie differenze, bensì arrivare ad un punto preciso, che sono soltanto loro a dettare. Non hanno interesse a misurarsi con voi;  vogliono solo la vostra definitiva estinzione e si limitano a chiamarla con un altro nome. La sostanza però non cambia.
Io vi ho messi in guardia dal pericolo; come si suol dire: “uomo avvisato, mezzo salvato”.           
Roberto Marzola.

"Vent'anni di Fascismo nessuno potrà cancellarli della storia d'Italia. [...]
Io andrò dove il destino mi vorrà, perché ho fatto ciò che il destino mi dettò".
Benito Mussolini, Testamento Politico.

sabato 28 maggio 2011

UDITE UDITE: CONDANNATO L’EX GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA

Questo 28 maggio 2011 potrebbe essere una data da consegnare alla storia: i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Milano hanno infatti condannato l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio ad anni 4 di reclusione e al pagamento di € 1,5 milioni per aggiotaggio[1]. Per chi non lo sapesse,  trattasi di un reato previsto dall’art. 501 del codice penale e che consiste, in buona sostanza, nell’alterare il mercato interno dei valori o delle merci con false informazioni al fine di trarne un profitto. In più gli è stata inflitta la sanzione accessoria ex art. 28 c.p. , ( interdizione dai pubblici uffici), e il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per due anni.
Una sentenza pesante che chiude, (forse), il triste capitolo di scandali finanziari conosciuto come “Bancopoli”.  L’ennesima sconcezza bancaria si era aperta durante l’estate del 2004, quando diverse banche straniere ed italiane chiesero alla Banca d’Italia l’autorizzazione per acquisire quote via via crescenti del patrimonio azionario di Banca Antoniana Popolare Veneta, (d’ora in poi Antonveneta). Oltre a quest’ultima, anche la Banca Nazionale del Lavoro fu oggetto di simili attenzioni. Così, a partire dal mese di marzo vennero lanciate diverse offerte pubbliche di acquisto e di scambio per tentare la scalata ad Antoveneta. Lo scontro tra banche straniere ed italiane fu piuttosto serrato, tanto che i tentativi fallirono e la Procura di Milano aprì un’inchiesta, inizialmente contro ignoti, per l’ipotesi di aggiotaggio. Secondo gli inquirenti nel «novembre 2004 sarebbero stati effettuati acquisti di titoli per circa 500 milioni di euro, in modo da spingere il prezzo delle azioni Antonveneta sopra a quello dell'Opa di 25 euro,(aggiotaggio manipolativo), impedendo alla banca Abn Amro di effettuare altri acquisti di azioni, pena il rilancio dell'Opa al nuovo prezzo»[2]. Inoltre, 18 imprenditori , in virtù di un patto parasociale occulto, sarebbero stati «finanziati dalla Bnl con 552 milioni di euro per rastrellare il 9,48% delle azioni Antonveneta»[3]. Il consiglio di amministrazione di Antonveneta venne sciolto e le sue azioni poste sotto sequestro. Lo scandalo esplose fino a coinvolgere, (oltre a quel “furbetto” di Ricucci), il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. 
Chi, invece, riuscì a salvarsi fu Piero Fassino, il quale  durante una telefonata chiese a Consorte, (coinvolto nelle indagini), se “avessero una banca”. La Magistratura non ritenne di dovere indagare oltre; fatto sta che da quelle intercettazioni comparirono « i nomi dei parlamentari: Piero Fassino e con lui, tra gli altri, Nicola Latorre, senatore ds assistente di Massimo D' Alema. E poi il tesoriere ds, Ugo Sposetti»[4]. Ma, si sa, i sinistri sono maestri ad aggirare gli scandali e nel sottrarsi alle grinfie della Magistratura. Chissà come faranno? D'altro canto, se così non fosse, non potrebbero più giocare il ruolo degli "immacolati" e allora, mi domando, cosa resterebbe loro, se non l'estinzione?

Ad ogni modo, questa è la concatenazione di eventi che ha portato alla storica sentenza di oggi. 
Storica perché è la prima volta che un Governatore di una Banca viene condannato con una sentenza penale. E dire che di motivi per condannarli tutti ce ne sarebbero diversi, a cominciare da quella immensa truffa mondiale che è il signoraggio, (tanto per dirne una!). 

E’ una notizia che fa ben sperare, perché alimenta la speranza che una guerra contro le lobbies bancarie forse è davvero possibile non solo nelle intenzioni, bensì in concreto.
Che sia l’inizio di un nuovo corso? Che sia l’alba di un giorno radioso in cui riusciremo finalmente a liberarci di quel nemico subdolo, nascosto dietro le quinte del teatrino della politica, che tutto muove e tutto può?
Francamente lo spero, ma in questi casi la cautela è d’obbligo, per cui non voglio illudermi. Del resto, in più d’uno in passato hanno mosso guerra all’immonda cloaca dei banchieri, o come direbbe Pound all' "usurocrazia mondialista". Non voglio dirvi chi fossero questi coraggiosi signori, perché lo sapete già e sapete anche e come sono finiti.  Speriamo solo che stavolta il destino sia diverso…

Roberto Marzola.


P.S. Voglio darvi un indizio, qualora non foste riusciti ad identificare i signori di cui sopra. Vi dico solo che hanno finito per essere chiamati come "male assoluto".
Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie,
se preferite una parola accademicamente corretta,
 ma forse meno comprensibile, che significa:
 dominio dei prestatori di denaro. (da Valuta, lavoro e decadenze) Ezra Pound


[1] http://www.ilgiornale.it/cronache/scalata_antonventa_condanne_4_anni_fazio_3_consorte/economia-cronaca-giustizia-antonveneta-scalata-condanna-aggiotaggio-fazio-fiorani-consorte-grillo/28-05-2011/articolo-id=525961-page=0-comments=1
[2] http://archiviostorico.corriere.it/2005/maggio/04/Antonveneta_Lodi_conti_sospetti_per_co_8_050504048.shtml
[3] http://archiviostorico.corriere.it/2005/maggio/12/Consob_Lodi_soci_subito_Opa_co_8_050512006.shtml
[4] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/01/03/il-caso-unipol-le-telefonate-di-consorte.html

giovedì 26 maggio 2011

IL MULTICULTURALISMO E’ FALLITO. PAROLA D’ESPERTO.

Nessuno se ne è accorto o in tanti fingono di non accorgersene: il multiculturalismo, ovvero l’idea, (posta dall’alto, non certo dal basso),secondo cui tutti gli uomini, di qualunque nazionalità, razza,cultura o tradizione, debbano convivere tutti insieme, sta conoscendo un forte declino.
E’ Nato sotto l’egida dei benpensanti, dei perbenisti, dei seguaci del “politically correct”; l’hanno spacciato per una sorta di manna dal cielo, di benedizione della Divina Provvidenza, che non poteva né doveva essere arrestato perché dicevano che fosse in grado di elevare la nostra società; invece sta a poco a poco rivelando tutti i propri fallimenti.  E lo sta facendo in completa autonomia: favorito da tutto e tutti, si sta autodistruggendo, senza che vi sia neanche un carnefice preciso, se non esso stesso.
L’ho sempre detto e ne sono stato sempre convinto: qualsiasi idea atta a privare una comunità territoriale dalle sue origini, dai valori in cui è nata e con cui è cresciuta, del suo senso di appartenenza,  a scinderla, insomma, dal territorio stesso, è una follia e , come tale, può conoscere vita breve. Come me, ne sono sempre stati convinti i partiti cd. “di estrema destra” o, se preferite, “xenofobi”, che talvolta hanno sì ottenuto buoni risultati, sia in termini elettorali che di risultati concreti, ma comunque insufficienti a mettere in crisi un disegno posto in essere dalle contingenze del caso e dai soliti poteri forti.
Stavolta, però, se ne sono accorti e, come si suol dire, hanno “fatto outing  personaggi davvero insospettabili: Tony Blair, Angela Merkel e David Cameron. Tutti e tre, in buona sostanza, si sono trovati d’accordo nel dire che il multiculturalismo è giunto al capolinea, ha fatto enormi disastri ed è tempo di girare pagina. Si sono cioè incamminati verso la stessa direzione tracciata dall’Olanda dopo l’omicidio del regista Theo Van Gogh e dalle esperienze dei popoli  mitteleuropei e scandinavi:  l’ “Unione democratica di centro” in Svizzera, i “Veri Finlandesi” nell’omonimo Paese, la Danimarca con il “Dansk Folkparti”, la signora Le Pen in Francia, l’ “NPD” in Germania, lo “Jobbik” in Ungheria e via discorrendo. C’è una differenza però: mentre questi ultimi partiti vengono definiti, appunto, come di estrema destra e, quindi, sono da sempre contrari a qualsiasi processo di integrazione con altre culture, i tre Capi di Stato suddetti appartengono a ben altra tradizione politica, essendo dei moderati, (anche se a leggere le loro parole non sembrerebbe proprio!).
Così la Merkel ha detto chiaro e tondo: «il multiculturalismo è completamente fallito […] Non abbiamo bisogno di un'immigrazione che pesi sul nostro sistema sociale». Ha anche aggiunto: « Noi ci sentiamo legati ai valori cristiani. Chi non lo accetta, non è nel suo posto qui»[1]. Le sue parole sembrano trovare eco anche nel Paese, dato che recenti statistiche riportano dati molto significativi: un terzo dei tedeschi ritiene che la Germania sia “invasa da stranieri”; il 55% si dice convinto che gli “arabi siano delle persone sgradevoli”, (contro il 44% di 7 anni fa); un buon 10% sente “nostalgia del Fuhrer”. [2]
La situazione più emblematica, tuttavia, riguarda sicuramente l’Inghilterra, in particolare la figura di Tony Blair. L’ex Premier britannico, infatti, è passato da una difesa ad oltranza all’attacco, allorché a margine di una conferenza stampa in materia di misure contro il terrorismo disse: «Venire in Inghilterra non è un diritto,  ma un’opportunità che è stata concessa con generosità dal popolo inglese, e  non si può abusare di questa grande tolleranza» ; « le regole stanno cambiando e chi arriva nel Regno Unito ha il dovere di condividere e sostenere i valori su cui si fonda la way of life britannica»[3].
Di lì a poco il concetto verrà ribadito da Cameron, il quale dirà: «Sotto la dottrina del multiculturalismo di Stato abbiamo incoraggiato differenti culture a vivere vite separate, lontane l'una dall'altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società alla quale sentissero di voler appartenere. Abbiamo anche tollerato che queste comunità segregate si comportassero in modi che contraddicevano del tutto i nostri valori. Quando un uomo bianco sostiene delle tesi deplorevoli, razziste per esempio, noi giustamente lo condanniamo. Quando pratiche o punti di vista ugualmente inaccettabili arrivano da qualcuno che non è bianco, siamo troppo cauti, persino spaventati, di contrastarle... Tutto questo fa sì che alcuni giovani musulmani si sentano senza radici. E la ricerca di qualcosa cui appartenere e di qualcosa in cui credere può condurli all'estremismo»[4].
Simili esternazioni e simili dati meritano seria e profonda riflessione. Innanzitutto, sebbene ci si ostini a serrare gli occhi e a fingere che nulla sia accaduto, è quanto mai evidente che il multiculturalismo non sia quella dottrina che favorisce la tolleranza, l’integrazione e la pacifica convivenza. I clamorosi dietrofront inglese e tedesco e, si aggiunga, quello francese,( dato che Sarkozy ha già preso di mira da tempo  musulmani e rom), dimostrano, al contrario, che il multiculturalismo favorisce soltanto delle vere e proprie società parallele in seno alle comunità nazionali; una sorta di microcosmo, (ad esempio il Neukölln di Berlino: consiglio una ricerca in proposito! ),che è non è facile controllare, studiare e classificare, dato che include migliaia di realtà diverse. Non sappiamo quali e quante idee si diffondano in quegli spazi; ignoriamo se siano compatibili con i principi fondamentali degli stati europei; ci sfugge persino un qualche minimo di certezza riguardo il loro interesse e la loro volontà di far parte del Paese in cui si spostano. E dire che qualcuno vorrebbe dar loro pure il voto. Roba da matti!
Ma la cosa più grave è che il “multikulti” finisce per consegnare tanti giovani alle frange più estreme e pericolose della società: dalla malavita organizzata, (le statistiche parlano chiaro: l’immigrazione ha un certo peso  sulle rilevazioni criminali), fino alle organizzazioni terroristiche islamiche. A tal proposito, Nazir Ali, 106° Vescovo di Rochester in Inghilterra, sostiene che «nel secondo dopoguerra le comunità musulmane britanniche aderivano ad una versione mistica e del tutto apolitica dell’Islam. Dopo anni di politiche multiculturaliste, formalmente volte ad agevolare il loro senso di appartenenza storica, si sono trasformate in qualcosa di assai diverso» […]; «oggi le comunità musulmane britanniche sono dominate da un forte radicalismo politico, al punto che gli estremisti riescono persino a intimidire le componenti più moderate ».
Mi fermo qui per ora, ritenendo che ci sia già materiale sufficiente per rendersi conto della pericolosità del multiculturalismo e, ovviamente, di chi se fa promotore e sostenitore a tutti i costi.
E’ una minaccia subdola, nascosta dietro a colori sgargianti che richiamano l’arcobaleno e dietro a discorsi pietosi, melliflui e roboanti. Un’insidia che però attenta direttamente al cuore della società, dell’Italia e dell’Europa intera. Un pericolo costante, insomma, tanto per il presente quanto  il futuro.
Stornarlo è molto più facile di quanto possa pensarsi: basta aprire gli occhi e smetterla di fare discorsi così idioti. A ciò bisogna unire una riscoperta dei propri valori, delle radici profonde, dei principi immortali, italiani ed europei, che non sono certo quelli di “uguaglianza, libertà e fratellanza”, a tutti i costi, meschinamente sfruttati dalle moderne democrazie, bensì quelli che derivano dalla coscienza nazionale, dalla cultura del nostro Paese, dalla Tradizione: amor patrio, fede incrollabile, senso del dovere e del sacrificio, cristiano rispetto per il prossimo, integrità morale, sacralità della famiglia e via discorrendo.  
Principi pre-politici, insomma, che in quanto tali non sono né di destra, né di sinistra. Principi che, una volta riscoperti, dovranno poi essere estesi a tutti e diffusi a livello capillare in società.
 Chiunque li accetti di buon grado e li rispetti sarà il benvenuto; chi non li accetta, invece, sarà libero di tornarsene da dove è venuto o di rivolgersi altrove, possibilmente evitando forme di coazione, a cui ricorrere soltanto come extrema ratio. Si noti bene che tutto questo non è frutto di chissà quale concezione totalitaria della collettività, ma è semplicemente quanto avviene già da tempo in America, ove di ogni immigrato si fa un americano a tutto tondo, senza se e senza ma.
La ricetta è semplice; i segnali di pericolo e gli ammonimenti li abbiamo. Non resta altro che agire. Dimostriamoci furbi una volta soltanto; dimostriamoci, cioè, amanti della nostra Patria. Ma facciamolo in fretta, fintanto che abbiamo qualcosa da tramandare. Facciamolo oggi, però, perché già domani potrebbe essere troppo tardi.
Roberto Marzola.

lunedì 23 maggio 2011

UNIONE EUROPEA: E’ PARTITO IL “COUNT-DOWN” PER L’AUTODISTRUZIONE?

Brutti segnali per l’Unione Europea. Il cammino della folle macchina consumistico-capitalista, avviata coi Trattati di Roma del 1957 e perfezionata con quelli di Maastricht, Schengen  e Lisbona, sembra essersi fatto in salita; il suo passo è ormai pesante e quanto mai insicuro.
A renderlo tale è, soprattutto, la situazione della Grecia la quale, come tutti ricorderete, ricevette non molto tempo fa dei bei denari, da parte degli Stati membri della Comunità,per ripianare la disastrata economia nazionale. La situazione era rovente già  allora, dato che il Paese ellenico aveva spudoratamente taroccato i suoi conti pubblici, sbeffeggiando praticamente tutti. Questo, (e non solo questo), suscitò le ire dei più, in particolare della Germania che, almeno in un primo momento, tutto voleva tranne che mandare la sua carta moneta all’ombra del Partenone.
La situazione va avanti ormai da un paio d’anni  ed è ben lungi dall’essere vicina alla soluzione. Quest’anno il deficit greco è stimato al 9,5% del Pil[1]. Il governo sta cercando di adoperarsi in qualche maniera, ma è come tentare di chiudere una falla sul fianco di una nave col palmo di una mano. Da Atene fanno sapere che il “Ministero delle Finanze sta cercando di continuare con il piano di consolidamento fiscale, tramite misure aggiuntive di oltre 6 miliardi di euro, al fine di conseguire l'obiettivo di un deficit del 7,5% per il 2011”[2]. Più che una promessa, un’impresa titanica, che non fa certo dormire sonni tranquilli ai signori della finanza “made in Europe”. A leggere i giornali viene solo da ridere…per non piangere! Nessuno ha la minima idea di come riportare il convoglio europeo sui binari. E’ tutto un susseguirsi e un intrecciarsi di ricette per uscire dalla crisi, ognuna delle quali contraddice l’altra. Fatto sta che, nel frattempo, i mercati finanziari ne risentono pesantemente: “ il Ftse Mib e il Ftse It All oggi hanno chiuso in ribasso rispettivamente del 3,32% e del 3,18%. A Parigi il Cac40 ha ceduto il 2,1%, a Francoforte il Dax il 2%”[3].

Non è solo la Grecia a preoccupare. Destano angoscia anche i conti di Irlanda, Portogallo e Spagna, quest’ultima addirittura alle prese con una imponente manifestazione contro il governo di Zapatero, colpevole di aver messo in ginocchio l’economia del Paese.
Di fronte a questo scenario apocalittico qualcuno ha lanciato un chiaro monito: stavolta l’Euro rischia di finire a gambe all’aria e con esso l’intera Comunità Europea.
Chi l’avrebbe mai detto? Un intero sistema economico fittizio, senza regole e senza remore, manovrato da pochi per soddisfare gli interessi di pochi, che finisce con il sedere per terra; quello stesso sistema, in cui siamo stati trascinati senza che ci interpellassero, perché, dicevano, ci avrebbe “risparmiato la fine dell’Argentina”, che oggi sembra condannarci alla stesso identico destino.
Mi verrebbe da gioire nel vedere la sconfitta del nemico plutocratico. Dovrei esultare nel vedere banchieri e massoni con le pezze al sedere e i loro camerieri, (a cominciare da Prodi e compagni), ammutoliti dinnanzi al disastro che hanno creato.
Uso il condizionale, però, e per una ragione precisa: perché alla fine, gira e rigira, saranno tutti fuorché loro a pagare il salatissimo conto. Come al solito saranno gli onesti cittadini d’Europa, nell’abituale veste di contribuenti, a dover pagare con il sangue pur di mantenere in piedi il feudo di Lor signori.
Vedrete: l’Europa delle banche e delle monete, salvo eventi clamorosi, riuscirà a spuntarla anche stavolta, perché l’oligarchia di interessi che l’anima è più forte della catastrofe che ha posto in essere. E, ripeto, a pagarne le conseguenze saremo sempre e soltanto noi.
 La mia domanda è sempre la stessa: fino a quando saremo disposti ad obbedire e a rimanere impassibili di fronte alla catastrofe compiuta?
Direi che,ormai, dovrebbe risultare chiaro a tutti che così non si può andare avanti.
L’Europa deve innanzitutto riscoprire le sue antiche radici, lo spirito di fratellanza e di vicinanza spirituale. Questo è stato il peccato originale di cui tutti dobbiamo avvederci: permettere che usassero l’economia per portare a termine il processo di massificazione, la realizzazione di un unico governo centrale e di un’unica banca centrale, facilmente controllabili e manipolabili.
Nossignore!  E’ all’unificazione che dobbiamo arrivare: ma ad un’unificazione che rispecchi lo spirito dei popoli d’Europa, che riconosca i loro inviolabili e sacri confini e che rispetti, anzi contribuisca a difendere, le culture e le tradizioni nazionali; un’unificazione che, insomma, sia mossa da un solido progetto politico-culturale, atto a riportare al centro del mondo il Vecchio Continente, con le sue genti, i suoi valori e i suoi saperi.  Un progetto che dia ai popoli d’Europa il benessere ed il prestigio di cui hanno goduto per millenni, prima che venissero invasi, colonizzati, sottomessi.
Sarà un processo lungo e complesso; ma è anche l’unico possibile, perché si possa arrivare ad un’Europa libera e liberata, perché priva di influenze ed egemonie, consapevole delle proprie potenzialità e anelante di riconquistare ciò che da sempre le è appartenuto: il proprio destino.
Per l’Europa dei Popoli, per l’Europa Nazione. Subito. Adesso.
Roberto Marzola.

sabato 21 maggio 2011

PEDOFILIA: MA QUALE LEGGE PUO’ PUNIRE UNA SIMILE ATROCITA'?

Le recenti notizie di cronaca hanno riportato alla luce una realtà vomitevole: la pedofilia. 
Fa ancora più schifo il fatto che, per l’ennesima volta, questa si consumi in un ambiente ecclesiastico. Non è una novità, purtroppo: la Chiesa è stata più volte investita da certi scandali ; ma fatti così atroci non li avevo ancora sentiti. Non avrei proprio voluto sentirli, a dire il vero.

Stavolta, Don Riccardo Seppia, (così si chiama il presunto orco), ne ha combinate di tutti i colori: adescava minorenni, spacciava, consumava abitualmente cocaina e altre sostanze psicotrope. Si era contornato di una masnada di delinquenti, adolescenti e adulti. Era solito frequentare prostitute. Adesso sembra addirittura che sia sieropositivo, o almeno così si legge nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei suoi confronti.
Al di là della sua reale colpevolezza e delle sue concrete responsabilità, sulle quali non mi pronuncio, (sarà materia per la Magistratura), mi viene da domandarmi: esiste una legge umana in grado di punire adeguatamente simili crimini?

La mia risposta è NO.

Non c’è sanzione, nemmeno la più grave in Italia, (l’ergastolo), che possa in qualche maniera risultare proporzionata a questo crimine immondo. E non mi si dica: “la pena deve rieducare il condannato”. La Costituzione la conosco bene, anche molto meglio di chi la difende a spada tratta, sempre e comunque. Qui non c’è proprio nessuno da rieducare; chi offende la dignità e l'intimità di un ragazzino, condannandolo ad indicibili sofferenze psichiche, non merita cotanta attenzione. 
Bisogna solo cercare di porre un freno ad un fenomeno che, ahimè, è in crescita costante. Tanto per fare un esempio : dalle 598 segnalazioni del 2002, siamo passati alle 845 del 2004, (fonte: Polizia di Stato). I numeri non dicono tutto: ci sono infatti migliaia di casi che, per i più disparati motivi, non vengono scoperti e denunciati, quindi non rilevati nelle statistiche.

Al di là delle rilevazioni, va detto che il sistema penale italiano non sembra adeguato a reprimere tale crimine. I soggetti imputati o condannati, difatti,  finiscono sempre con l’essere messi in isolamento non appena varcano la soglia delle patrie galere. La legge del carcere, si sa, è dura: puoi rubare, rapinare, estorcere, truffare, uccidere anche decine di uomini; ma i bambini non si toccano, altrimenti ti fanno la pelle.
Mi pare un trattamento sin troppo decoroso per chi si macchia di certe atrocità!
E’ per questo che dico, allora, di trovare una pena adeguata e che, al tempo stesso, funga da potentissimo deterrente. Nel mio piccolo propongo la CASTRAZIONE CHIMICA OBBLIGATORIA PER TUTTI I CONDANNATI CON SENTENZA DEFINITIVA PASSATA IN GIUDICATO.

A dire il vero, qualcuno che non voglio neanche nominare,in illo tempore, aveva già avanzato una proposta del genere, forse più per spot propagandistico che non per intimo convincimento.

Il trattamento terapeutico, a base di medrossiprogesterone, è già stato sperimentato,  in America e in Svezia soprattutto. E’ solitamente temporaneo e, a quanto mi risulta, ha dato buoni risultati laddove è stato impiegato. Invece, nei casi più gravi, come ad esempio il concorso di reati e/o la presenza di una o più circostanze aggravanti, la castrazione potrebbe essere definitiva. E' una pratica che non comporta chissà quali rischi ed è usata anche per altre finalità, in particolare per l'adeguamento del sesso di "transgender", travestiti ecc.

Ovviamente, un simile trattamento non sostituirebbe la normale pena detentiva che, anzi, andrebbe ulteriormente inasprita e prolungata. Al contrario, i processi dovrebbero essere assai brevi. A tal proposito, si potrebbe ipotizzare che per la fattispecie criminosa de qua si procedesse, sempre e comunque, con le forme del giudizio immediato.

Questa non è che una semplice, iniziale e generale proposta  di approccio alla risoluzione del problema. 
Spero vivamente che il dibattito su queste autentiche tragedie si rianimi, perché certi crimini così atroci non possono essere trattati in maniera così leggera. 
Non è civile, infatti, solo quel Paese in cui lo Stato si mostra mite nei confronti degli onesti cittadini; spesso lo è molto di più quello in cui lo Stato tratta simili delinquenti con il metodo che meritano: il pugno di ferro.

Roberto Marzola.

mercoledì 18 maggio 2011

PERTINI: PICCOLO UOMO, GRANDE IMPOSTORE.

Nella “repubblica nata dai valori della resistenza” è consuetudine più che consolidata considerare uomo retto,  ammirevole e addirittura eroico chiunque si sia dichiarato contrario al governo mussoliniano. In questo Paese l’antifascismo è condizione necessaria e sufficiente per un riconoscimento, per un attestato di stima. Un dato che la dice lunga sulla consistenza della cultura e della politica impregnate dai valori della resistenza, (che poi non si è mai capito quali siano). Non hai nulla da dire o da proporre? Non importa; conta solo essere antifascista, demolire e non costruire.
E’ il caso di Sandro Pertini, un “eroe della resistenza”, praticamente un santo in terra nell’Italia del secondo dopoguerra. L’hanno definito addirittura “il Presidente di tutti gli italiani”.

Signori, per favore, siamo seri! Non dico sempre, ma almeno una volta tanto.  Non magnifichiamo qualcuno che non ha avuto meriti particolari, se non l’astuzia di cavalcare la cresta dell’onda antifascista.
Chi era infatti costui? Le cronache della sua gioventù lo descrivono come un attivista, un agitatore sociale sempre pronto ad alimentare il fuoco dell’odio politico e di classe, in un’epoca già piuttosto violenta di suo, (mi riferisco in particolare al “Biennio Rosso”). Vedere per credere!
Nel 1924 fu condannato alla pena detentiva per stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia, fattispecie previste dal codice Zanardelli, (codice sabaudo, non fascista, che verrà modificato da Mussolini solo dal dicembre 1925). Non contento della condanna ricevuta, continuò  la sua attività, sino a guadagnarsi il confino previsto dalle “leggi fascistissime”.  Esiliato, rientrerà in Italia: nuovo processo e nuova condanna. Alla difesa in Tribunale, preferì dare spettacolo rifiutando le lettere della madre, scritte in sua difesa.
Ma è dopo il carcere che Pertini diede il “meglio” di sé. 
Partecipò alla resistenza, raggiungendo i vertici del C.L.N. . Alla testa dei suoi uomini provocò un’orgia di sangue: condanne capitali,(più di quelle comminate a seguito della reintroduzione della pena di morte durante il Fascismo), esecuzioni sommarie ed eccidi.
Non va dimenticata poi via Rasella, che Pertini non fece nulla per evitare. Su quei fatti disse: « Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola» . Insomma, che importa se si trattavano di poliziotti tornati da un addestramento e, come tali, probabilmente male armati, se non completamente disarmati. L'importante era uccidere, sterminare. 
Come se non bastasse, conferì a Bentivegna, (autore materiale dell’attentato), la medaglia d’oro al valor militare. 
L’atrocità, l’idiozia e l’assurdità della scelta è sottolineata dalla reazione che provocò in Giuseppe Palumbo, generale della Folgore, rimasto fedele al Re dopo l’8 settembre. Quando seppe della consegna della medaglia a Bentivegna, Palumbo restituì al presidente tutte le sue medaglie (ed erano parecchie). Evidentemente, essere accomunato a certi criminali lo offendeva…
Nel curriculum di Pertini, però, alle atrocità d’armi si uniscono quelle civili. Appena eletto Presidente, nel 1978, “concesse la grazia a quel Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca», che nel 1954 la Corte di Assise di Lucca condannò all’ergastolo (in contumacia, perché Botteghe Oscure riuscì a farlo riparare in Jugoslavia). Quel Toffanin che da capo partigiano della Brigata Osoppo si era aggregato, dandogli manforte, al IX Corpus titino responsabile delle foibe e che fu protagonista della strage di Porzûs. E che oltre all’ergastolo per i fatti di Porzûs avrebbe dovuto scontare anche trent’anni per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Un criminale fatto e finito, dunque, al quale lo Stato, grazie alla famigerata «legge Mosca», elargiva persino la pensione[1].
Ciò che crea più sdegno, tuttavia, è senz’altro la vicenda legate alle Foibe. Il silenzio di Pertini fu vergognoso e connivente. Mentre migliaia di Italiani cadevano, vittime della ferocia comunista, lui contribuiva  a sostenere il muro dell’omertà e la congiura del silenzio. E dire che, (come denunciato più volte dall’encomiabile prof. Marco Pirina), il governo di quegli anni, oltre a ricevere Tito a Roma, pagava addirittura milioni di lire perché la Jugoslavia trattenesse nelle sue galere i nostri prigionieri. Addirittura,  lo Stato Italiano eroga tutt’oggi la pensione, con reversibilità del 100%, agli esecutori materiali degli “infoibamenti”.
Come mai Pertini, (né alcuno di quelli che l'hanno preceduto), non disse nulla di tutto ciò? Semplice: era un socialista di sinistra ed un acceso antifascista; evidentemente condivideva l’operato slavo. Ipotesi che viene avvalorata da ciò che Pertini fu capace di fare durante il funerale del Maresciallo Tito: partecipare in maniera assolutamente commossa, baciando il feretro del boia di migliaia di veri Italiani e la bandiera slava, sotto la quale essi erano stati massacrati.
UNA VERGOGNA INFINITA!
In molti lo ricordano per il Mundial 1982 e per la sua partita a scopa con Bearzot. Spero che almeno abbia vinto quella partita: sarebbe l’unica cosa degna della sua vita!
Prima di lasciarvi, vi allego un articolo tratto da “La stanza di Montanelli”. Lo ritengo un’autentica chicca che dimostra, ancora una volta, l’assoluta faziosità e la leggerezza con cui si insegna la storia in Italia. Buona lettura.
Roberto Marzola.




LA STANZA DI MONTANELLI
Pertini? Sono altri i grandi d' Italia
Caro Montanelli, Rilevo con disappunto come la figura di Sandro Pertini sia stata rimossa dalla memoria degli italiani e dei loro degni rappresentanti politici. Solo il Corriere, se non sbaglio, gli ha dedicato ultimamente un servizio su Sette. Perche' tutto ciò? Vorrei da lei inoltre un giudizio su quest'uomo che personalmente stimo degno di ben altra considerazione. Fabio Mazzacane, Pistoia
Caro Mazzacane, Lei ha bussato alla porta sbagliata. Dalla memoria degl'italiani sono stati rimossi gli Einaudi, i De Gasperi, i Saragat, i La Malfa, i Vanoni, che nella politica del nostro Paese hanno contato molto più di Pertini. Il quale fu certamente un uomo onesto, coraggioso e coerente con le proprie idee (anche perché ne aveva pochissime). Ma le stesse qualità si possono attribuire anche a coloro che ho nominato e che vi aggiungevano quella di una sagacia politica, di cui Pertini fu sempre sprovvisto. Nel suo stesso partito non esercitava alcun peso, era considerato un "compagno" di tutto affidamento, ma bizzarro, imprevedibile e sempre pronto a qualche colpo di teatro. Nenni, che gli voleva bene, mi disse una volta: "Io non sono certamente un uomo di cultura e alla cultura non attribuisco, per un politico, una decisiva importanza. Ma qualcosa so, qualche libro l'ho letto, anche grazie a Mussolini quando mi mandò al confino a Ponza. C'era anche Sandro. Lui, l'unica cosa che leggeva era «L'Intrepido». Il resto del tempo lo passava a giocare a briscola o a scopa coi nostri guardiani. Alle nostre discussioni sul futuro dell'Italia e del partito non partecipava quasi mai, e quando lo faceva, era solo per invocare il popolo sulle barricate, per lui la politica era solo quella". Lei mi chiederà come fece un uomo cosiì sprovveduto a diventare Presidente della Repubblica. Lo diventò appunto perché era sprovveduto, e come tale forniva buone garanzie di non interferenza agli uomini del potere vero, totalmente in mano ai partiti. Quello che forse nessuno aveva previsto, ma che si rivelò un particolare del tutto innocuo, era il suo demagogismo. Pertini aveva il fiuto del pubblico, e ne secondava alla perfezione tutti i vizi e vezzi. Dal video ogni tanto pronunziava terribili requisitorie contro la classe politica, come se lui non vi avesse mai appartenuto, come fece al momento del terremoto dell'Irpinia, quando accusò il parlamento di avere bocciato i disegni di legge per le misure di difesa in caso di emergenza, dimenticandosi che il Presidente della Camera che li aveva respinti era stato lui. Non perdeva occasione di dare spettacolo seguendo in lacrime tutti i funerali, baciando torme di bambini, e insomma toccando sempre quel tasto del patetico a cui noi italiani siamo particolarmente sensibili. I suoi alluvionali discorsi di Capodanno erano autentiche sceneggiate. Ma in sette anni di Presidenza, di sostanziale e sostanzioso fece poco o nulla. Della corruzione che dilagava o non si accorse, o preferì non accorgersi. Comunque, un segno del suo passaggio al Quirinale non mi sembra che lo abbia lasciato. Ce lo ricordiamo come un brav'uomo pittoresco e un po' folcloristico, che seppe far credere alla gente di essere un "diverso" dagli uomini politici, mentre invece era sempre stato uno di loro e non aveva mai vissuto d'altro che di politica. Non c'e' da vergognarsi di avere avuto un Presidente come Pertini. Ma non vedo cosa ci sia da ricordarne…
P.S. Io, invece, Caro Indro mi vergogno e come!
PPS. UNA CITAZIONE AUTENTICA DI PERTINI, APPARSA SU "L'AVANTI" : «Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L’ultima sua parola è stata di pace. [...] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura... Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto». Pertini non ha mai ritrattato, neanche dopo aver saputo degli atroci crimini di Stalin. A voi ogni ulteriore considerazione.


[1] Paolo Granzotto- “Il Giornale”, 16/02/2008

lunedì 16 maggio 2011

LIBERTA',UGUAGLIANZA,FRATELLANZA? NO...DIO,PATRIA E FAMIGLIA.

Pubblico un recente articolo scritto da Marcello Veneziani, giornalista, scrittore e filosofo con cui capita spesso di trovarmi d'accordo. Un evento piuttosto raro, se si considera il totale degrado morale, culturale e politico che affligge la società odierna, in cui si scrive, praticamente, solo di scappatelle, di meretrici, guai giudiziari, atroci delitti e via discorrendo.
Stavolta, invece, si parla di antico, di eterno, di salvifico: Dio, Patria e Famiglia. Una triade che raccoglie valori, saperi, tradizioni e ideali che sono in grado di elevare l'uomo dal disastro attuale e di indirizzarlo verso orizzonti più ampi. Un terzetto che è bene riscoprire, depurare dai pregiudizi ideologici e riproporre con forza crescente, perché è quanto di più vicino alle nostre origini, alla nostra coscienza, alla nostra essenza.

Buona lettura,

Roberto Marzola.


Se il mondo riscopre Dio, patria e famiglia

Dietro ai grandi eventi di questi giorni, dalla beatificazione di Wojtyla al "compleanno" d’Italia, c’è l’eterno ritorno dei valori della tradizione


La beatificazione del Papa e la fol­la dei devoti a Roma, l’intervento in Libia e il compleanno d’Italia, il matrimonio nella famiglia rea­le inglese in mondovisione, il ri­nato patriottismo Usa dopo la morte di Bin Laden. Quattro even­ti planetari in una sola settimana hanno riacceso in forme diverse le luci su un’antichissima trinità: Dio, patria e famiglia. Era da tem­po che non si rivedevano insieme.
Che fine hanno fatto Dio, patria e famiglia? Sono stati per secoli l’orizzonte di vita e di senso dei popoli, poi si sono ritirati nel ruolo di bandiera ideale per movimenti conservatori e tradizionali. Ora sanno di arcaico e finito, servono più per etichettare posizioni antiquate altrui che per rivendicare le proprie. Con che cosa furono sostituite? Potremmo rispondere con nulla, o con il nulla eretto a orizzonte. O, storicamente, che furono sostituite con libertà, eguaglianza e fratellanza. O più semplicemente che furono barattate con l’individuo, i suoi diritti e la libertà sovrana di sentirsi cittadino del mondo, senza legami a priori. Sembra impossibile pensare a Dio, patria e famiglia. Chi li vive non li pensa e chi li pensa li ritiene già morti. Eppure Dio, patria e famiglia occupano ancora il pensiero supremo di metà umanità e la loro orfanità è avvertita come un vuoto dall’altra metà. Dio, patria e famiglia popolano i pensieri reconditi, i ricordi e i rimorsi più forti, animano l’arte,il sogno e la letteratura,resistono come nostalgia e sentimenti. Perché occupano rispettivamente la sfera del pensiero e della fede, della vita pubblica e civile, della vita intima e sentimentale. Si chiamano in modi diversi; per esempio senso religioso, senso comunitario e senso delle radici. L’uomo ha tre dimensioni originarie, che sono la sua umanità, la sua natura e la sua cultura: la dimensione verticale che ci spinge a tendere verso l'alto, la dimensione orizzontale che porta a situarci in una comunità e la dimensione interiore che induce a ritrovarsi nelle origini. In questo triplice viaggio verso il cielo, la terra e le radici, ci imbattiamo in figure e presagi che richiamano Dio, patria e famiglia. E se fosse necessario ripensarli e riviverli nel nostro presente e nel futuro prossimo? Se nascessero dalla loro scomparsa la presente disperazione, il cinismo e gli abusi, le paure e le chiusure? Se avessimo bisogno di quell’orizzonte per essere uomini e per legarci davvero tra noi? Davanti alla tabula rasa bisogna tornare all’abc.
Come si possono pensare oggi Dio, patria e famiglia con la sensibilità del presente, senza tornare al passato? In primo luogo attraverso la libera scelta, nessun automatismo imposto da natura o storia, autorità o legge. Ma una libera e radicale scommessa tra caso e destino, tra libertà di assegnare significato o no all’origine, ai nostri legami, al nostro senso del sacro e del divino. Abbiamo bisogno di dare un senso alla vita, riconoscendovi un disegno intelligente; poi di avvertire un luogo come la nostra casa, la nostra matrice; quindi di nutrire legami speciali di comunità e tradizione.
In secondo luogo dobbiamo risalire dalla buccia al midollo, all’essenza di quel senso religioso, comunitario e delle origini. Con amore totale per la verità, costi quel che costi, non cercando coperture retoriche e rassicuranti bugie. È onesto pensare che le forme storiche, lessicali e rituali in cui si manifestano Dio, patria e famiglia possano morire e mutare. Ma il tramonto di alcune fedi secolari, di convinzioni e strutture, non significa la fine di quegli orizzonti e del nostro bisogno. È importante distinguere tra le forme che passano e i contenuti che restano; capire cosa salvare, cosa rigenerare e cosa lasciar morire.
In terzo luogo, oggi Dio, patria e famiglia vanno pensate non solo in loro presenza ma anche in loro assenza, attraverso la loro mancanza, e gli effetti che questa produce. Non possiamo negare che si tratta di princìpi sofferenti, sempre più cagionevoli e incerti. Non possiamo chiamarci fuori, fingere una purezza che non abbiamo; dobbiamo saper riconoscere che nella loro penuria ci siamo dentro anche noi, fino al collo; scontiamo anche noi cadute e incoerenze. Non ci sono incontaminati guardiani dell’ortodossia e dell’osservanza; anche noi esitiamo e spesso voltiamo le spalle. Dunque, nessuna pretesa di superiorità e di purezza rispetto agli altri; sia questa ragione di realismo e umiltà popolare.
In quarto luogo va tenuto a mente che nessuno può imporre il monopolio, il primato, l’esclusiva, del suo Dio, della sua patria e della sua famiglia. Amare Dio, patria e famiglia non vuol dire negare quelli degli altri; ma rispettarli tutti, a partire dai propri. Se neghi il Dio, la patria e la famiglia degli altri, neghi i tuoi. Se neghi ogni dio, ogni patria e ogni famiglia, neghi l’umanità, la dignità e l’identità tua, altrui e del mondo da cui provieni. Chi rinfaccia gli orrori compiuti in nome di Dio patria e famiglia, confonde la malvagità umana con i pretesti in cui è stata rivestita nei secoli. Anche la libertà, l’uguaglianza, la fraternità e i diritti umani sono stati usati per imporre il terrore giacobino, le dittature comuniste, il fanatismo ateo; contro Dio, patria e famiglia.
Infine, i corollari: via la cupa ortodossia, meglio l’ironica leggerezza. Via la scolastica ripetitiva, meglio l’educazione popolare a quei principi. Via il superbo individualismo o la sua variante settaria, meglio iscriversi nell’alveo popolare di un comune sentire e di una tradizione provata dall’esperienza.
Non so se questo basterà per rigenerare nel tempo presente e in quello che viene l’amor patrio,familiare e divino. Ma non vedo altro all’orizzonte che meriti di suscitare passioni ideali e nulla che ricordi davvero la storia e la vita autentica, la cultura e la natura dell’uomo. Se fosse questo il compito ideale e civile, politico e morale di oggi? Pensateci, perlomeno. Per non morire nemocristiani, cioè figli di nessun cristo. 

venerdì 13 maggio 2011

ARIES O.N.P. e IL TEN. COL. CELSIO ASCENZI : LA FORZA E LA FEDE.

“IL DOMANI APPARTIENE A NOI”
di Aries Officina Nazional Popolare in collaborazione con il  Tenente Colonnello Celsio Ascenzi.




Grande è la responsabilità di cui ci facciamo carico nel voler spiegare alla gente il pensiero e l’ardore che ci anima.
Parlare del futuro, del domani, non è cosa semplice per chi ha sogni non comuni a tutti,per chi ancora crede di poter irrompere nella quotidianità dei giovani e quindi del “nostro avvenire”, propugnando valori, saperi e tradizioni imperituri con una tenacia volta a cambiare il presente.
Nulla ci appassiona di più. E’ troppo facile stare a guardare ed essere accomodanti; è troppo facile dire e non fare.
Abbiamo da sempre deciso di far sentire la nostra voce e le nostre emozioni, senza veli né mezze verità.
Compito difficile direte? Vero! Ma noi vogliamo provarci.
Chi poteva aiutarci a spiegare, con tanta enfasi ideologica, il nostro pensiero  e la ragione della nostra militanza, se non chi sul pensiero e sulla militanza ha impostato  la propria vita?
Celsio Ascenzi, nostro carissimo amico,fratello,maestro ed esempio di vita, ha voluto regalarci una sintesi di quanto sopra preannunciato. Una vera lezione politica, che merita una profondissima riflessione.


«La nostra essenza è rivoluzionaria,perché vogliamo realizzare un ”mondo nuovo”della cui umanità siamo certi: infatti le sue radici affondano nell’antico e nell’eterno dell’Essere.
Come veri rivoluzionari, non siamo turbati da alcuna fretta,perché sappiamo attendere per giovarci dell’ora, perché sappiamo che il fiume fluisce per noi,là dove noi vogliamo.
Crediamo nello Spirito e sappiamo dominare ed usare la materia.
Il nostro Legionario,sereno e imperturbabile,sceglie di affrontare la propria vita, educandosi e temprandosi all’imperativo del DOVERE, e s’addolora per quanti,raggianti ed illusi da un nemico che da secoli ghigna acquattato nel buio, non s’accorgono che il frastuono assordante dei “diritti da rivendicare” altro non è che una tragica frode,non diversa dal panno rosso sventolato sulle narici del toro,già destinato a morire.
Non guardiamo al COMUNISMO ,come non si guarda a ciò che si dissolve e si annulla da sé,mentre niente lo ostacola e tutto lo agevola. Ma abbiamo, parimenti, orrore del LIBERAL-CAPITALISMO, in cui vediamo la causa del male del nostro popolo e di tutti i popoli che sono affetti da quella tabe.
Siamo tesi al domani, che sappiamo essere nostro,e non ci contiamo mai, perché sappiamo di aver sempre un Camerata al nostro fianco ed uno che ci segue, per prendere, poi, il nostro posto nella battaglia».
L’ora di scendere in campo è già suonata, caro Celsio, e noi ci accingiamo a schierarci, armati solo dei nostri ideali, delle nostre speranze, della nostra fede incrollabile e della ostinata volontà. Conquisteremo finalmente quel “domani” che, come dice la famosa canzone, “appartiene a noi” e lo restituiremo al suo legittimo proprietario: la Nazione Italiana.
Ad majora!

Aries Onp.

mercoledì 11 maggio 2011

TERREMOTO DI ROMA: COME SI FA A CREDERCI?

Doveva essere il finimondo, la scomparsa di Roma e di tutto ciò che rappresenta; o almeno questo è quello che si leggeva in quella che, oramai, è diventata la profezia di Bendandi, uno scienziato autodidatta del secolo scorso.
La notizia ha viaggiato sulla rete, sugli altri canali di informazione mediatica e si è sparsa con il passaparola tra la gente. Ha creato allarmismo, al punto tale che in molti hanno abbandonato la città per rifugiarsi in luoghi ritenuti più sicuri. Taluni hanno organizzato gite fuoriporta. Diversi negozianti hanno scelto di abbassare le saracinesche e di darsela a gambe. A nulla sono valse le dichiarazioni dell’Istituto Nazionale di Geofisica, che si è prodigato a smentire il vaticinio, evidenziandone l’assoluta a-scientificità.

La notte è da poco trascorsa  e di tutto questo non vi è traccia. Le ipotesi sono due: o Bendandi ha fatto male i suoi calcoli, sbagliando clamorosamente ora e giorno, oppure si tratta dell’ennesima panzana “proto-apocalittica”.
A guardare meglio, la risposta potrebbe essere ancora più scontata: si è semplicemente trattato di ignoranza, che ha finito per generare una vera e propria psicosi di massa.

Già ignoranza, perché persino Alessandro Amato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha detto: “Nessuno hai mai previsto che l'11 maggio del 2011 ci sarà  un terremoto a Roma. Neanche Bendandi l'ha mai fatto. Infatti non ci sono documenti che lo dimostrino”. Poi ha ripetuto un altro concetto fondamentale: “Nella storia ci sono una moltitudine di previsioni da 'fine del mondo', e mai si sono avverate, semplicemente perché  un terremoto non si può prevedere”.[1]

Parafrasando un latinetto si potrebbe dire: “vox scientiae, vox dei”. Evidentemente, così non è, e non può essere per molti. C’è ancora il bisogno di credere alla ciarlataneria, alla stregoneria, alle profezie. L’irrazionalità non è più un atteggiamento culturale e filosofico atto a descrivere tutto ciò che non può essere “penetrato, dimostrato o giustificato dalla forza logica del pensiero, o sia comunque estraneo all’attività razionale del pensiero[2], ma è un moto dell’ignoranza e dell’incultura di massa.
A Nietzsche e Schopenhauer da un lato, e a Galileo, Newton e Einstein dall'altro, abbiamo sostituito qualche idiota ciurmatore e una manica di giornalisti inetti in odore di un facile scoop.
Questo purtroppo generano una società caotica, un’informazione delirante e una scuola inadeguata. Solo questo, del resto, può accadere nel mondo privato della vera religione e del mito, a cui gli uomini hanno da sempre affidato le proprie angosce e paure, allorché si trovavano di fronte ad un qualcosa che non sapevano spiegare e/o affrontare.

Ammettiamolo: a furia di distruggere valori, saperi, tradizioni e quant’altro, ci ritroviamo ad essere nulla più che scatole vuote. Scatole che rischiano di riempirsi con qualunque fesseria che riesca ad assumere, in maniera neanche tanto credibile, una qualche parvenza di verità. Che siano le profezie di Nostradamus, le previsioni apocalittiche dei Maia, le invasioni degli alieni o le presunte profezie di uno scienziato deceduto, poco importa; in tanti, troppi, riescono a lasciarsi sedurre e imbrogliare. Naturalmente, tutti liberi di farlo; solo che poi non meravigliamoci quando sentiamo di persone malate che lasciano la medicina ufficiale per affidarsi a qualche ciarlatano o di altre persone raggirate dal mago o cartomante di turno. Il principio di funzionamento della "macchina dell'aggiramento" è sempre lo stesso.

Roberto Marzola.

lunedì 9 maggio 2011

9 MAGGIO 1978: POCHE RIGHE PER RICORDARE DUE UOMINI

Scrivo poche righe solo per stimolare la memoria storica di un Paese che, spesso, dimostra di averla sin troppo corta.  Ricordare vuol dire avere piena coscienza di ciò che siamo, di quello che abbiamo vissuto, fatto,detto oppure semplicemente passato; è un imperativo per qualsiasi Nazione che voglia creare delle solide basi, su cui poggiare le premesse per un futuro più grande del presente.  Praticamente, un’utopia in Italia, Paese in cui la menzogna è addirittura un affare di Stato.
Il 9 maggio è una data su cui riflettere. In quel giorno del 1978, infatti, si consumano due tragedie, che meriterebbero ben altra considerazione rispetto a quella che hanno solitamente, (ben altra rispetto a quella fatta, ad esempio, oggi da Napolitano, un vero maestro nelle dichiarazioni di facciata e nei discorsi vuoti e scontati): il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro e la morte di Giuseppe Impastato.

Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana con vari incarichi di governo nel corso degli anni, (5 volte Pres. del Consiglio, Ministro della Pubblica Istruzione e degli Esteri, nonché Guardasigilli), fu il fautore dell’apertura al centrosinistra,  intesa quale condizione per superare la crisi del centrismo. Propose la “strategia dell’attenzione” verso il Partito Comunista Italiano che, progressivamente, veniva inglobato nella maggioranza di governo, come testimoniano gli esecutivi cd. “della non sfiducia” e, più in generale, la politica del “compromesso storico”. Proprio nel giorno in cui tutto questo si apprestava a divenire realtà, vale a dire il 16 marzo 1978, allorché il P.C.I. era in odore di entrare nel governo Andreotti, Moro venne rapito dalle Brigate Rosse, braccio armato della lotta proletaria, vale a dire il medesimo cavallo di battaglia cavalcato dallo stesso P.C.I.  Cinquantacinque giorni che sconvolgono e angosciano l’Italia, (la quale si era divisa, tanto per cambiare,  tra favorevoli ad una mediazione con gli aguzzini ed intransigenti), fino a quel 9 maggio, in cui il corpo senza vita di Moro viene fatto ritrovare nel portabagagli di un’auto in via Cetani, a Roma. Una scelta quanto mai simbolica, dato che la via si trova, grosso modo, alla stessa distanza da dove erano ubicate le sedi del P.C.I. e della Democrazia Cristiana.

Nello stesso giorno muore a Cinisi, vicino Palermo, Giuseppe Impastato, detto “Peppino”. Giornalista di grido, cresciuto in una famiglia mafiosa, di formazione socialista, si avvicinò gradualmente agli ambienti di sinistra ma non cambiò la sua massima aspirazione: la lotta senza quartiere alla Mafia; una guerra che fosse ideale e politica, prima ancora che militare; un combattimento condotto attraverso le armi della denuncia e dell’informazione contro il muro dell’omertà.  Decide così di scrivere una serie interminabile di articoli contro il malaffare e di candidarsi persino alla elezioni del 1978 nella lista di “Democrazia Proletaria”. Tanto nei suoi scritti, quanto nei suoi comizi, rivolge le proprie accuse, (diffuse anche grazie alla radio da lui fondata, “Radio Aut”), in particolare contro Gaetano Badalamenti, affiliato a Cosa Nostra.  Accuse che gli costarono assai care, giacché in piena campagna elettorale rimase ucciso a seguito di un attentato. Lo Stato Italiano, pur riconoscendo la matrice mafiosa del delitto, conduce accertamenti in maniera assai discutibile. Arriva a condannare con l’ergastolo il Badalamenti, (ormai 80enne), solo nel 2002, riconoscendolo quale mandante dell’esecuzione. Insieme a lui, viene condannato a trent’anni di reclusione anche Vito Palazzo.

Mi sono limitato, VOLUTAMENTE, a richiamare i fatti nella loro essenzialità, nell’intenzione di lasciare ogni lettore libero di formare la propria opinione. Ciascuno di noi dovrebbe riflettere su certi accadimenti,  accomunati da un tragico dettaglio: il pressapochismo,quanto mai sospetto, con cui le istituzioni di quel tempo hanno operato, dando l’immagine di uno Stato debole, tenuto con troppa facilità sotto scacco da poteri occulti e, quel che è peggio, di un Paese addolorato sì, ma fondamentalmente spaccato in due per l’ennesima volta.
Episodi del genere ci aiutino a crescere; ci stimolino a costruire uno Stato che sia Stato, cioè con una magistratura all’altezza del compito che le è proprio, con un esecutivo e un parlamento forti, risoluti e caparbi, espressione del popolo e servitori della Nazione, piuttosto che ostaggi, (qualcuno direbbe “camerieri”), sotto varie forme, di sparute e variegate masnade: terroristi, mafiosi e ben altre, più nobili e ricche sette. Come si suol dire: “intelligenti pauca”.
Roberto Marzola.

sabato 7 maggio 2011

LA “SINISTROSA” NOSTALGIA PER GLI ANNI DI PIOMBO

La cronaca politica degli ultimi tempi sta diventando molto pesante o, meglio, allarmante. Ve ne siete accorti? Probabilmente no. Non disperatevi, non è tutta colpa vostra. I vari opinionisti, commentatori ed osservatori sono troppo occupati a ficcanasare in ciò che avviene nelle stanze della politica di palazzo, (in particolare nelle camere da letto), per rendersi conto di ciò che avviene nelle strade, nelle vie e nelle piazze di città e paesi; a tale situazione dedicano pochissime righe, quando va bene. Quasi nessuno di questi signori si è accorto, o finge di non accorgersi, che si sta creando una situazione altamente infiammabile. Praticamente, solo il buon Pansa ha lanciato l’allarme, dicendo che, in parole povere, qualcuno vuole ritornare al clima d’odio, agli scontri di piazza, alle botte da orbi, alle spranghe e, temo, anche ai morti per le strade. Pansa è lapidario e afferma: è la sinistra, (sempre che si possa ancora parlare di destra e sinistra),che cova e diffonde l’odio, contaminando l’intera scena politica, a cominciare dal mai sopito risentimento antifascista e dell’astio antiberlusconiano.  Non so come dargli torto. Purtroppo, la “logica”,(se così si può definire), della sinistra è quella dell’«anti», ed è la madre di tutte le disgrazie.
Si badi bene che non sto descrivendo chissà quale astruso teorema; ho semplicemente fatto un’estrema sintesi dei fatti che sto per riportare. Vediamoli.
Uno dei bersagli principali dell’odio “sinistroso” è sicuramente Casa Pound Italia, ormai da tempo destinataria di una vera e propria dichiarazione di guerra da parte di tutta la sinistra, non solo dalle sue frange più estremiste. Prova ne sia l’episodio avvenuto a Cuneo, in via Alba, il 26 febbraio di quest’anno, in cui è il sindaco in persona a pompare la delirante folla antifascista che, puntualmente, si scaglia contro i ragazzi di C.P.I. : volano parole grosse ed oggetti di ogni tipo, praticamente da e verso una parte sola, ovvero quella delle “tartarughe”.  Purtroppo un ragazzo tra queste ultime, colpito in testa da un sampietrino, viene ricoverato d’urgenza all’ospedale. Non è certo l’unico attacco e neanche l’ultimo, purtroppo. Di recente, infatti, la sinistra "fascistofobica" ha montato dei veri e propri casi, denunciando, anche dalle pagine di certi quotidiani nazionali, che dei membri dei centri sociali e persino dei ragazzini sarebbero stati aggrediti da militanti di C.P.I. . Tutto falso! Alle calunnie, purtroppo, hanno fatto seguito gli ordigni esplosivi contro le sedi dell’associazione a Roma e, addirittura, contro le abitazioni private dei singoli membri. Altre aggressioni e altre minacce sono arrivate a Napoli, dove un corteo antifascista,(neanche troppo nutrito,a dire il vero),ha cercato a tutti i costi lo scontro. Purtroppo si contano feriti tra i militanti di C.P.I., alcuni anche in modo grave.
La situazione, ahimè, non cambia se si volge lo sguardo altrove. Ricorderete tutti il tentativo di aggressione a Maurizio Belpietro, direttore di “Libero”e, più di recente, la busta contenente bossoli ricevuta da Zaia, Presidente leghista della Regione Veneto.  Sicuramente saprete anche dell’aggressione subita da Gianni Lettieri, esponente del “Popolo delle Libertà” candidato sindaco alle elezioni del Comune di Napoli, che ha ricevuto invettive,(del tipo: “sei un fascista, devi morire”), urla e spintoni. Solo il tempestivo intervento della Digos ha evitato il peggio.
Episodi del genere, purtroppo, macchiano anche la cronaca degli ultimissimi giorni. Nella notte di giovedì 5 maggio, un trentenne, ricercatore universitario, è stato accerchiato da ragazzi in sella a due motorini, mentre passeggiava per le vie di Roma.  I quattro gli avrebbero chiesto: “sei un camerata?”; lui, dopo un breve tentennamento, avrebbe risposto di “”. Lo hanno colpito in pieno volto con il casco, prima di riempirlo di calci e pugni: 35 giorni di prognosi ed un probabile intervento chirurgico a cui sottoporsi. Infine, ad Ancona, nella giornata del 6 maggio, durante la manifestazione per lo sciopero indetto dalla Cigl, alcuni dimostranti hanno preso di mira la locale sede di Forza Nuova con lancio di uova, scritte ingiuriose ed intimidatorie,("fasci infami" e "fasci appesi"), addirittura effrazioni e chi più ne ha, più ne metta.
Insomma, la situazione appare sin troppo chiara e preoccupante: la sinistra italiana, (nella quasi sua totalità), palesa uno stato comatoso a livello ideale, culturale e politico, a cui cerca di ovviare con azioni di forza, aggressioni,minacce e quant’altro. E’ lo stesso identico modus operandi sperimentato anni addietro, nella fase sessantottina e post-sessantottina, gli anni in cui si diceva che “uccidere un fascista non è reato”, (dove "fascista", impropriamente, voleva dire qualsiasi forma di oppositore politico). Evidentemente, di quella decade di sangue e dolore la sinistra italiana sente la nostalgia, anzi la necessità impellente. Ricreare quel clima di tensione e di folle scontro, infatti, significherebbe dover rimandare l’ora di fare i conti con la storia, (che sta pian piano arrivando,dopo decenni di menzogne), nonché procrastinare il momento della costruzione di un movimento e di un progetto politico serio: evenienze per cui la sinistra italiana non è ancora pronta, incatenata come è nelle pastoie dell’ideologia passata, sconfitta non militarmente, ma dalla storia. Se penso che pure Napolitano se n’è accorto…
Ad ogni modo, creare un nemico pubblico numero uno, un mostro da cui mettere in guardia,  serve per guadagnare tempo e credibilità. Non importa che poi quel nemico sia da identificarsi con un vecchio fascista, un neo-fascista, un “fascista del terzo millennio”, un leghista, un moderato di centro-destra e/o un liberale; per loro sono, (siamo?), tutti uguali. Quel che conta è che non sia di sinistra, né riconducibile ad aree affini. Questa è una condizione necessaria e sufficiente per scatenare l’ira, la rabbia e la frustrazione, create da un fallimento epocale di cui, evidentemente, non ci si vuole avvedere. Di quale terribile ironia è capace la sorte: quella sinistra,che si autodefinisce come “progressista” e che è costretta a guardare indietro per tirare a campare; quella sinistra che vorrebbe dominare il futuro e che non sa neanche fare i conti col proprio passato. Cose da pazzi!
Se poi si pensa, infine, che questa gente è la stessa che suole riempirsi la bocca di “democrazia” e degli alti valori che da quest’ultima promanano, lo sdegno e la rabbia crescono, al punto tale da portarti a dire che, in fondo, le tanto deprecate “squadracce” fasciste non erano poi così tremende in confronto a questi loschi figuri; almeno quelle riportavano l’ordine in anni di profonda agitazione e malcontento, (sebbene a suon di manganello e di olio ricino),e non seminavano di certo il caos come i progressisti, anzi passatisti, del giorno d’oggi. Che sia giunto il momento di dire basta? Direi proprio di sì!
Roberto Marzola.
Fonti:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/16/busta-con-proiettili-per-luca-zaia-maroni-non-solo-atto-
dimostrativo/104943/