BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


mercoledì 29 febbraio 2012

VAL DI SUSA: IL PREZZO DEL PROGRESSO O DELL'IDIOZIA?

Nelle ultime ore tutti abbiamo saputo chi è e cosa ha fatto Luca Abbà: trentasettenne, attivista "No Tav", piccolo coltivatore diretto. Ieri si è recato al cantiere di Chiomonte e, dopo aver eluso i presidi delle forze di polizia, è riuscito ad arrampicarsi su un traliccio dell'alta tensione. Giunto ormai alla sommità di questo, ha iniziato a descrivere il gesto ai suoi "kompagni" di Radio Indymedia, tutto rigorosamente in onda. Gongolava per aver fatto fessi gli sbirri e minacciava di attaccarsi ai cavi della corrente elettrica se questi avessero tentato di farlo scendere. Poi la telefonata si interrompe. I servi del sistema incalzano. E' il caos. Luca cade dal traliccio, schiantandosi al suolo. Lo portano all'ospedale, dove viene ricoverato d'urgenza per le sue gravi condizioni. I medici decidono di metterlo in coma farmacologico.
Ora tutti parlano di lui. In tanti, troppi, speculano sulla sua disgrazia. La FIOM chiede la sospensione dei lavori per "ragioni umanitarie". Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, tuona contro le forze dell'ordine, ritenendole responsabili di quanto accaduto. Da Indymedia, praticamente, si  lanciano vere e proprie dichiarazioni di guerra: "Avete cercato il morto, per l'ennesima volta. La pace è finita. Ora, alla prima occasione, vi ammazziamo noi, porci servi , fascisti e padroni mafiosi. A morte VOI !!!!!" (fonte).

Una situazione tragica e molto pericolosa, che riporta la mente ad altri tempi, quando i tafferugli tra attivisti e polizia erano all'ordine del giorno; così come era all'ordine del giorno, purtroppo, il sangue per le strade. Anche il linguaggio e la mentalità sembrano gli stessi di allora: "sbirri", "fascisti", "padroni", "contestazione", "manifestazione"... Parole vecchie, idee impolverate ed ammuffite che cercano di ostacolare il finto progresso materiale, che scava le montagne, espropria le terre e annienta il verde in nome della modernità. Un proposito, quello di salvaguardare l'integrità dell'ambiente montano e rurale, che è sicuramente condivisibile. Potremmo considerarlo,addirittura, come un vero e proprio ideale per cui è giusto, anzi, sacrosanto combattere. Solo non in questa maniera. Non con quelle categorie vecchie di pensiero, letteralmente spazzate via dal confronto con la realtà, che ha messo in evidenza, (ed in ridicolo!), la loro inconsistenza ideologica e la loro inattuabilità pratica. Bisogna cambiare, voltare pagina, accendere il cervello. Dovremmo capire che il nemico, quello vero, non è il singolo cantiere o la singola opera pubblica: questi sono solo gli effetti visibili, tangibili del male; il nemico, dicevo, è ben altro e si chiama "massone", "banchiere", "governo tecnico", "lobby finanziaria", "Unione Europea", "Banca Centrale Europea", "Fondo Monetario Internazionale" e via discorrendo. Un nemico subdolo e letale, che difficilmente si manifesta; un nemico che non si combatte con gesti tanto scriteriati quanto tragici, ma con la crescita culturale e spirituale. La vittoria in questa decisiva battaglia, infatti, passa per l'informazione; si basa sulla capacità di pochi cervelli, non ancora corrotti dalla disinformazione di massa, di riuscire a far capire all'opinione pubblica che si sta realizzando un piano di stravolgimento del mondo così lo conosciamo, orchestrato da pochi ai danni di tanti. Un mondo in cui non ci saranno più spazi per le vette immacolate, per i prati verdeggianti, per le mucche al pascolo, per il suono metallico di quel vecchio artigiano che ancora si ostina ad agitare il martello contro l'incudine o a muovere la sega sull'asse di legno. Immagini, suoni, culture e tradizioni d'altri tempi che, di questo passo, dovranno abbandonare il campo per far posto ai binari dell'alta velocità e a chissà quale altra diavoleria. Occorre far presto, dunque, e cominciare a combattere questa battaglia con testa e cuore, possibilmente senza più stupide divisioni tra rossi e neri, senza rimasugli ideologici, senza commettere gli stessi errori di 30-40 anni fa, a cominciare dalla guerra civile, che sarebbe una vera e propria manna per il nemico di cui sopra. Roba che appartiene al passato; qui, invece, dobbiamo pensare al presente e, soprattutto, al futuro. Un futuro che deve essere necessariamente nelle nostre mani.

Roberto Marzola.

domenica 26 febbraio 2012

QUEI RAGAZZI ITALIANI CHE MANCANO ALL'ABBRACCIO DELLE MADRI

Si può dire di tutto sulle nostre Forze Armate. Possiamo discutere per ore sull'impegno del nostro Paese nelle cd. "missioni di pace", comandate e volute dagli U.S.A. e dai loro servitori. Parimenti, potremmo perderci nel parlare del fatto se sia lecito servire questa Patria o se, piuttosto, non siano meglio la disobbedienza e l'insubordinazione. Ragionamenti leciti ed opportuni di fronte alla recenti notizie che arrivano dal fronte e che vedono protagonisti i nostri ragazzi. Mi riferisco ovviamente ai tre morti ad Herat, (annegati in un metro d'acqua a bordo di un blindato che stava guadando un fiume, ingrossato dalle piogge), e ai due Marò fermati in India con l'accusa di aver aperto il fuoco contro dei pescatori locali, e che per questo rischiano una condanna a morte.Una cosa però non ammetto: che si parli o, peggio, che si mettano in dubbio l'impegno, il coraggio e lo spirito di servizio di questi ragazzi nei confronti della nostra Patria. Hanno lasciato l'Italia per raggiungere quegli angoli di mondo, (spesso sperduti!), dove ancora oggi divampa il fuoco della guerra, per prestar fede al giuramento dato proprio all'Italia. Sfidano climi rigidi, popolazioni talvolta ostili e il fuoco dei ribelli. Circostanze che costringono quotidianamente ad un confronto con se stessi e, al tempo stesso, con la morte; circostanze che ti danno l'idea di quanto importante sia il valore di quella divisa e di quella bandiera che, nel bene e nel male, rappresentano la terra dove sei nato e cresciuto, i genitori che ti hanno messo al mondo, le persone a cui vuoi bene, i valori e le Tradizioni in cui ti riconosci e che fanno di te ciò che sei; ancora: circostanze che ti fanno capire quanto bella ed effimera sia questa avventura straordinaria che convenzionalmente chiamiamo vita.
Non tollero neanche le solite e malevoli frasi di circostanza, secondo le quali questi Uomini, (loro sì con la "U" maiuscola), accetterebbero simili rischi solo per vili questioni monetarie. Ma che ne sapete voi di quanto si viene retribuiti per imbracciare un mitra, sapendo di non poter sparare mai per primi? E soprattutto: quale è il prezzo per mettere a repentaglio la propria pelle? E' dallo stipendio, poi, che si misurano il valore ed il coraggio di un uomo?
Ma è soprattutto un'altra cosa che mi manda letteralmente in bestia e mi fa quasi vergognare di essere italiano: ma che razza di Paese è quello in cui il sacrificio di questi giovani militari non viene apprezzato e celebrato? Che schifo di Paese è quello che permette che la scomparsa di Francesco Currò, Francesco Messineo e Luca Valente venga liquidata con quattro parole, gonfie di retorica, dei pagliacci che li hanno mandati a morire? E, ancora, che Paese è quello che indietreggia di fronte alla diplomazia quando due figli della Patria rischiano di essere messi a morte da uno Stato straniero, il quale probabilmente non ha neanche giurisdizione su di loro?
Ve lo dico io: un Paese di merda, che non merita le sofferenze e il sacrificio di questi uomini e ragazzi straordinari. Proviamo, almeno, ad esserne degni noi. Non con un semplice pensiero o con un bel discorsetto strappalacrime, ma impersonando tutti i giorni i valori per cui sono morti o rischiano di morire, (amor di Patria, fedeltà e onore), e portando alta e sempre nel cuore quella bandiera; "chi agisce diversamente dimostrerebbe di ritenere la Patria non più Patria quando si è chiamati a servirla dal basso". 
Lo meritano loro; lo meritano le loro famiglie; lo merita l'Italia!

Roberto Marzola.

giovedì 23 febbraio 2012

STRAGE DI CANI E GATTI: I CALCIATORI FACCIANO UN GESTO D'UMANITA' !

Ieri sera anche il TG satirico "Striscia la Notizia" si è occupato della strage di cani e gatti randagi in Ucraina e Polonia, Paesi che ospiteranno Euro 2012. E' arrivato dopo le numerose notizie diffuse dalla rete, grazie alle quali era già possibile percepire l'entità dello sterminio. Ad ogni modo, il servizio realizzato da Edoardo Stoppa ha contribuito a togliere ogni margine di dubbio e può fare da cassa di risonanza per far sentire la crescente indignazione di tutti.
Mi metto anche io tra coloro che sono disgustati, anzi inorriditi di fronte a questo olocausto animale, sebbene mi tocchi ammettere che non sono stato in grado di vedere il servizio. Non ce l'ho proprio fatta. Già alla notiza del servizio ho smesso di mangiare; alle prime immagini mi sono alzato da tavola, con un sentimento a metà tra il dolore e la rabbia. Le barbare uccisioni di animali, di qualsiasi specie, non le ho mai digerite e mi hanno sempre dato l'immagine di una razza umana ignorante, incapace di capire e valutare il grande ordine che regge il cosmo; al tempo stesso, però,mi hanno dato l'idea di un'umanità malata, affetta da un delirio di onnipotenza, dal desiderio incontrollabile di sentirsi Dio in terra,  tanto da arrogarsi il diritto di poter decidere delle sorti di tutti gli altri esseri viventi, a prescindere da eventali "colpe".
E che "colpe" potranno mai avere quei poveri gatti e quei poveri cani, a parte quella di essere randagi, ossia di non aver nessuno che si prenda cura di loro? Forse, sono solo "responsabili" del fatto di non essere una bella visione per chi, impegnato a portare avanti enormi affari economici, (spesso privati!), deve dare l'idea di città immacolate, piacevoli all'occhio del turista in arrivo. Gli agglomerati urbani devono essere impeccabili per la grande passerella sportiva; tutto deve essere perfetto ed assomigliare ad una cartolina, pur di non offendere la sensibilità e lo sguardo delle folle in arrivo. Così, si fa una cosa semplice: si elimina la feccia. I poveri, i barboni, i tossicodipendenti e gli altri emarginati vengono confinati nei sobborghi, un po' come si fa quando, per pulire in fretta una stanza, si nasconde la polvere sotto al tappeto; gli animali randagi, invece, proprio perché non sono di nessuno e non sono tutelati da nessuno, possono essere sterminati, anche in maniera barbara e crudele. E' comodo, davvero troppo comodo, riversare le colpe di politiche economiche e sociali fallimentari su quelle povere bestiole; è facile e al tempo stesso folle credere di eliminare il degrado urbano facendo sparire migliaia di animaletti incolpevoli, che possono essere caricati vivi su veri e propri forni crematori ambulanti.
Mi chiedo solo una cosa: come può essere possibile tutto questo in Europa? Certe notizie mi sembravano assurde in Cina; figuriamoci in un Paese del Vecchio Continente! Cosa fanno le istituzioni dell'Unione Europea, oltre a pensare allo spread? Perché non intervengono in maniera potente e perentoria contro i governi di quegli Stati e contro l'Uefa che, a quanto pare, avrebbe imposto simili provvedimenti? Bisogna concludere anche stavolta che il sangue, (umano o animale che sia), per la congregazione delle banche e della moneta, non ha alcun valore, neanche quando è versato innocentemente? Pare proprio di sì...
Così, davanti ad una simile tragedia e al menefreghismo delle istituzioni che contano, lancio un mio piccolo quanto disperato appello ai calciatori: rinunciate sin da ora ai vostri compensi milionari,elargiti dalle varie Federazioni, o almeno ad una parte di essi. Anzi, se potete, (e sono arci-sicuro che possiate!), anticipate qualche piccolo contributo da raccogliere e spedire in Ucraina e Polonia, per chiedere la realizzazione di canili e gattili a misura d'animale, in cui ospitare e far vivere tutti quei randagi che ancora si trovano per le strade delle città. Minacciate, in caso contrario, di non scendere in campo, per mettere alle strette gli organizzatori degli europei di calcio e i politici dei governi. Sarebbe un modo civile per cercare di fermare il massacro, offrendo anche una felice soluzione alternativa. Se vogliamo, potrebbe essere anche un'occasione imperdibile per dimostrare che lo sport non è solo lusso e facili guadagni, ma anche educazione, umanità, rispetto per la vita. Praticamente, una delle ultime oasi felici in un mondo che si sente offeso dalle sventure di piccole bestiole sfortunate. Un mondo che, se mi permettete, mi fa sempre più schifo!

Roberto Marzola. 

P.S. Per chi non l'avesse visto e avesse fegato, questo è il servizio di Striscia la Notizia: 
Servizio Edoardo Stoppa

martedì 21 febbraio 2012

NAPOLITANO: CHE FIGURACCIA!

Il confronto con la realtà è sempre duro. Per il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sta diventando un vero e proprio incubo. Da un po' di tempo, infatti, ogni volta che scende dal suo trono per mescolarsi con la plebaglia, non fa altro che collezionare fischi, contestazioni e insulti, rigorosamente bi-partisan. In sua presenza tutti hanno da rimproverargli qualcosa ed è giusto che sia così. Già, perché è bene che scelte folli e senza criterio come quella del governo Monti, uscite infelici e decontestualizzate come quella sullo ius soli e, più in generale, la retorica di chi vive distante anni luce dalla realtà e per giunta immerso nella bambagia, paghino dazio.
E'successo ieri in Sardegna, dove Napolitano è stato contestato dai pastori sardi, attivisti del Partito Comunista dei Lavoratori, contestatori anti-Equitalia, artigiani e liberi commercianti. Era già successo nei mesi scorsi all'Università "La Sapienza" di Roma, dove era in programma la presentazione del suo volume sull'Unità d'Italia; era accaduto anche a Bologna un mese più tardi, ove si era recato per ricevere una laurea ad honorem. Due sottili fili rossi legano tutte queste proteste: la mancanza di un impegno serio e concreto per risolvere i problemi del Paese e la sua sudditanza nei confronti delle banche. In particolare, di quest'ultima si sono accorti praticamente tutti: è un uomo delle banche, un servo dei poteri forti; re Giorgio, invece, continua a negare, seguitando ad elargire melassa a più non posso.

Una situazione triste, perché dà il senso del declino del nostro Paese e delle sofferenze crescenti che affliggono la gente comune. Allo stesso tempo, però, è quasi incoraggiante: alimenta la speranza che gli italiani inizino a capire con che razza di gentaglia abbiamo a che fare. Una manica di inetti che prendono ordini dalle più ributtanti lobby economico-finanziarie, le quali compiono i loro loschi affari alle spalle del popolo, con l'ampio avallo di questi signori, di cui Napolitano è il capo-fila. L'unica nota di rammarico è causata dalla constatazione che, malgrado le proteste, il Capo dello Stato non rischierà nulla, forte come è dell'appoggio dei partiti e delle congregazioni che contano. Un altro esempio dell'inadeguatezza di un sistema che protegge i propri interpreti, con buona pace di tutti coloro che ne sono al di fuori e che sputano sangue per mantenerlo in piedi. Bisogna cambiare e subito, perché nessuno debba essere costretto a sorbirsi simili sermoni e simili affronti alla decenza e all'intelligenza. Guardia alta e coraggio!

Roberto Marzola.

venerdì 17 febbraio 2012

DALLO SPACCO DI BELEN AL VALORE DELLA DONNA

Il vertiginoso vedo-non vedo di Belen a Sanremo ha riportato l'attenzione sul valore della donna. Un tema già portato alla ribalta in passato dagli uomini pseudo-moralisti e finto-perbenisti di "Repubblica" e dintorni, che avevano puntato il ditino censorio contro le veline di "Striscia la Notizia" perché, a loro dire, ridotte ad un oggetto, vittime inconsapevoli di una speculazione ordita da vecchi lenoni ed avente ad oggetto la loro bellezza. Mercificazione del corpo femminile, insomma.Pronta la risposta del TG satirico, che respinse le accuse al mittente, sottolineando, però, come anche nei periodici di quei signori si facesse bella mostra di splendide ragazze in atteggiamenti provocatori e sensuali.

Ora, si diceva, la questione è tornata alla ribalta dopo che Belen ha mostrato a mezza Italia la sua farfallina. Quella tatuata sulla coscia...che avete capito?  Il ministro per le pari opportunità, Elsa Fornero, si è detta addirittura offesa da certe donne in TV. Le ha fatto eco, in un certo senso, la collega Cancellieri, la quale ha sottolineato come sul piccolo schermo vi siano anche donne che svolgono il proprio mestiere usando il cervello, più che la propria avvenenza fisica.

A me, francamente, tutta la vicenda pare assurda. In un mondo che lancia continuamente messaggi a contenuto erotico più o meno espliciti, spesso persino volgari, si vuole far diventare un problema la mostra di una bella gamba femminile e di un inguine? Usando lo stesso metro di giudizio, allora, cosa si dovrebbe dire dei gay pride sempre più frequenti, durante i quali sfilano centinaie di maschi vestiti da donne e di donne conciate da uomini, in cui nulla è proibito e tutto è bandito, buon senso e buon gusto compresi? Cosa è e da dove deriva questo essere bacchettoni? Domande a cui non so rispondere se non pensando ad un copione scritto a tavolino, in cui la soubrette, (Belen), o il giullare, (Celentano) di turno buttano l'esca della provocazione solo per scatenare il dibattito, alzando così attenzione ed ascolti. Se così fosse, la cura sarebbe molto peggio della malattia. Sarebbe difatti molto più deprecabile la "caciara" creata ad hoc attorno ad un bel paio di gambe, piuttosto che l'esibizione stessa delle gambe. Pertanto, sapete cosa vi dico? Fa bene la Belen, (che non mi sta manco granché simpatica), a giocare con il suo corpo, a mettere strane voglie agli italiani, ad ammaliarli e a conturbarli come fecero, al loro tempo, la Carrà mostrando il proprio ombellico, Anita Ekberg col celebre bagno nella Fontana di Trevi ed Edwige Fenech nei vari film con Alvaro Vitali e soci. Ci mostri il suo corpo tutte le volte che vuole, il che, oltretutto, è anche un belvedere. E see ne facciano una ragione i signori bacchettoni e le ministre moraliste: la loro è solo ipocrisia e invidia. C'è molta più virtù in un bel corpo femminile mezzo svestito e in una farfallina che nelle loro parole. Senza quelle e con il corpo di Belen si potrebbe quasi sognare. Soliti guastafeste!

Roberto Marzola.

mercoledì 15 febbraio 2012

OLIMPIADI Sì, OLIMPIADI NO: OCCASIONE PERSA O PERICOLO SCAMPATO?

L'evento è di quelli eccezionali: per la prima volta, forse sono d'accordo con il governo Monti. Anche io, difatti, ero e sono contrario alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020. Non perché non fosse un'occasione di prestigio, buona per riscattare un'immagine all'estero dell'Italia dalle quotazioni piuttosto in ribasso. Ci mancherebbe! Semplicemente, non possiamo permettercelo. 8 miliardi di Euro sono un lusso che l'Italia non può concedersi, specie se più della metà di questi soldi devono essere garantiti dallo Stato. Non voglio neanche pensare dove avrebbe preso questi denari il governante di turno, sebbene abbia più di un sospetto in tal senso.
Dunque, pericolo scampato o almeno così pare. Se non altro, stavolta si dà dimostrazione di aver imparato qualcosa dalle lezioni del passato. Sappiamo tutti come sono andate le cose ad Italia '90. Abbiamo visto cosa hanno portato le Olimpiadi invernali a Torino, (26 milioni di passivo). Sui mondiali di nuoto del 2009 a Roma, addirittura, sta indagando la Magistratura, per cercare di capire dove sono finiti i 400 milioni di Euro di finanziamenti, visto che la struttura non fu mai realizzata e gli atleti furono indirizzati al Foro Italico.
Di fronte a tutto questo, il duo Alemanno-Polverini cosa fa, ci chiede di "investire" nelle Olimpiadi? Per farvore! Piuttosto, preferisco investire soldi pubblici nel restauro del Colosseo, in maniera tale da non dipendere dalle vicende legate al sig.Della Valle di turno. Quello sì che sarebbe un investimento intelligente!
Magari, alla suddetta coppia potrebbe far bene leggere i risultati di uno studio, (riportato da "Il Fatto Quotidiano" e consultabile qui),  della East London University, secondo cui i Giochi della quarta fase dell'era moderna sono sì presentati come opportunità di rigenerazione per la città che li ospita, ma finiscono col diventare uno spreco di risorse pubbliche e un ottimo affare solo per le speculazioni private.
C'è, infine, un ultimo dato inquietante su cui riflettere: le Olimpiadi portano terribilmente sfiga. Quelle del 2004, infatti, sono state una vera e propria maledizione per la Grecia; forse il colpo di grazia per un Paese già in difficoltà. Un Paese che non ha saputo più riprendersi dopo la voragine causata dai lavori per le strutture olimpioniche, di cui restano solo degli edifici deserti.
Insomma, stavolta, oltre ai quattrini, possiamo risparmiarci persino gli scongiuri. Una soddisfazione mica da poco di questi tempi. Volete mettere? 

Roberto Marzola.

martedì 14 febbraio 2012

DALLA GRECIA SI ALZA UN GRIDO: EUROPA NAZIONE!

L’usuraio distruggerà ogni ordine sociale, ogni decenza, ogni bellezza” , Ezra Pound, 1933.

Che cos'è una rapina in banca a confronto della fondazione di una banca?", Bertolt Brecht.

***

La situazione, cari miei, è davvero angosciante. La Grecia sta affondando sotto i colpi delle manovre lacrime e sangue imposte al popolo dai governi tecnici, abilmente manovrati dai banchieri di tutto il mondo.  Qualche dato, giusto per descrivere l'entità della catastrofe: stanotte, il governo greco ha rotto i ponti con "15.000 dipendenti pubblici, che si sommano ai circa 150.000 già tagliati negli ultimi due anni, e al taglio del 22 % dei salari minimi e di 1,1 miliardi di euro nella spesa sanitaria. Misure che si aggiungono a quelle già prese dal precedente governo, come ad esempio una pesante tassazione sulla casa e a una deregulation del mercato del lavoro" (fonte). Per fare cosa? Per poter accettare i danari provenienti dall'Unione Europea, per ristrutturare il debito pubblico. Ma sarà davvero questo il motivo? Non credo proprio. La ragione è ben altra: Francia e Germania hanno più di 66 miliardi di Euro in titoli greci e, pur di non pagare le conseguenze dei loro scellerati investimenti, ricattano il governo greco, costringendolo a prelevare liquidi dalle famiglie greche.
Gira e rigira, insomma, la gente comune, i lavoratori e le imprese devono versare allo Stato i denari guadagnati  con fatica, per salvare le banche. Banche straniere per giunta! Il tutto mentre la disoccupazione galoppa, ("Il Corriere della Sera" la quantifica al 20%), e mentre si calcola che, se tutto va bene, almeno tre generazioni di greci dovranno lavorare per riparare al disastro attuale.
Queste cose i Greci sembrano averle capite e manifestano tutta la loro rabbia. Incendiano le banche, riconosciute, finalmente, come le uniche vere responsabili della catastrofe economica, politica e sociale e chiedono al governo di pensare unicamente al popolo, unicamente alla Grecia. 

Chi, invece, sembra ancora essere dura di comprendonio è l'Italia, letteralmente drogata dall'albagia di Monti e dal suo tono sonnifero. Qui si continua a dire che "ce la faremo", perché "siamo un grande Paese", perché "abbiamo la guida giusta". Tutte balle! A smentire l'ottimismo neoliberista è la "matematica del debito italiano", (rubo tale espressione da un interessante articolo, consultabile qui). In pratica, il costante aumento del debito pubblico, in un breve lasso di tempo, sarà di gran lunga superiore all'incremento del PIL. Già allo stato attuale, gli italiani lavorano solo ed esclusivamente per pagare gli interessi annuali sul debito, un pagamento accelerato dall'inasprimento fiscale voluto dal governo Monti. Tra poco tempo, potrebbe non bastare più. Niente risparmi, niente spese oltre lo stretto neccessario, nessuna crescita economica. Scenario apocalittico anche in questo caso, (reso ancor più tetro dalle dichiarazioni di Soros, che ha detto che dopo la Grecia, sarà la volta dell'Italia e della Spagna), solo che dalle nostre parti stenta a montare l'onda della protesta. Solo il Movimento dei Forconi ci ha provato, insieme ai camionisti e ai tassisti, ma i risultati sono stati un pochino deludenti. 
Occorre cambiare strategia, decidersi finalmente ad attaccare questa massa di usurai che vogliono ridurre il Vecchio Continente ad una landa desolata ed impoverita, materialmente e spiritualmente. Bisogna avere il coraggio di ribellarsi, di uscire dall'Unione Europea e dall'Euro. Ogni stato deve tornare ad essere sovrano, con una propria classe politica, (eletta e "controllata" direttamente dal popolo), una propria economia e, soprattutto, una propria moneta. Parallelamente, deve prendere avvio un processo di unificazione. Un' Europa unita da vincoli di sangue, da Storia e Tradizioni comuni, da un senso di appartenenza ad un'unica grande Patria europea e cementata dalla volontà di tornare ad essere il centro del mondo. Un'Europa dei Popoli e delle Tradizioni; l'Europa delle nazioni contro il carrozzone voluto dalle banche. Questa è la sfida da vincere per uscire dalla crisi: non una ricetta prescritta dai professori, con il posto fisso in filiale; ma un sogno di fratellanza europea, di pace e collaborazione per un un futuro diverso. Forza, Vecchia Europa! 

Roberto Marzola.

giovedì 9 febbraio 2012

UNO STATO CHE SI FA PRENDERE IN GIRO DA CESARE BATTISTI

Diciamocelo chiaramente: l'Italia con Cesare Battisti, (il delinquente,ovviamente, non il patriota del secolo scorso), ha fatto una pessima figura. Non una sola, a dire il vero. La prima magra, infatti, si è avuta quando, nel 2004, a seguito dalla fine della cd. "dottrina Mitterand" e del conseguente arresto, Battisti riuscì a rendersi latitante e a dileguarsi nel nulla. La seconda, invece, nel 2007, allorché venne arrestato in Brasile. Una detenzione che è durata pochino, perché nel 2009 era già fuori, forte dello status di rifugiato politico. Nel 2011, infine, è arrivato l'ultimo verdetto: il presidente Lula, amico di un contrariato Giorgio Napolitano, (chissà quanto...), forte dell'approvazione dall'Avvocatura di Stato brasiliana, fa sapere che non sarà concessa l'estradizione. I quattro omicidi, di cui si era macchiato con i suoi comagni,(nel senso politico del termine!), resterrano impuniti.

Stavolta, c'è un qualcosa che va oltre l'assurdo giuridico...Che non è la concessione dello status di rifiugiato politico ad un comunista italiano. Un qualcosa che supera persino l'ipocrisia umana... Che non è nemmeno la solidarietà espressa da Roberto Saviano. Si tratta di un qualcosa che va ben al di là della decenza... Ed è il fatto che il sig. Battisti sfilerà al Carnevale di Rio con il «Bloco do Cordão da Bola Preta», una delle maggiori scuole di samba della città carioca. Stando a quanto riporta "il Corriere", il terrorista rosso, tutto entusiasta, avrebbe dichiarato: "Certo che ci vado, la Bola Preta porta in strada due milioni di persone" .

Ci rendiamo conto? Questo omuncolo con le mani intrise di sangue, che ha seminato il terrore in Italia, provocato il dolore delle famiglie delle vittime e che adesso gioca pure a fare l'intettuale, si permette di sfilare al Carnevale di Rio, magari a fianco di dieci sventolone brasiliane, con corpi da delirio sessuale e dai movimenti conturbanti. Non lo accetto, mi spiace. I miei occhi hanno sopportato abbastanza. Basta! E' l'emblema e, al tempo stesso, l'apice del ridicolo che copre il nostro Paese a causa di 60 anni di politica "liberale" e "democratica". Più di mezzo secolo di storia in cui abbiamo preso sempre e solo ordini da tutti. Una schiavitù resa più sopportabile da una specie di "miracolo economico" e da qualche soddisfazione sportiva, che ora ci rende persino incapaci di andare in Brasile a prendere per le orecchie un pezzo di merda qualunque, per buttarlo nell'unico posto in cui meriti di stare: in galera! Poi mi vengono a dire: "gli italiani devono fare i sacrifici per il bene del Paese" e corbellerie simili; ma per cosa? Per essere lo zimbello della Comunità Internazionale? O per essere presi per il culo da un simile idiota e criminale, che se ne sta in Brasile a divertirsi, con quell'aria da genio de noandri, mentre gran parte degli italiani onesti stenta ad arrivare a fine mese? Ma che se ne vada a fanculo lui, Lula e la nostra classe dirigente! Speriamo solo che prima o poi torni in Italia per riabbracciare il suolo natio...Anzi no: a ben pensarci, si rischierebbe di farne un insegnante, come già avvenuto con qualche ex B.R.. Certi rischi non è proprio il caso di correrli!

Roberto Marzola.

P.S. Mi scuso per il linguaggio scurrile, di solito non mio; ma come dicono a Roma: "quanno ce  vò...ce vò!".

martedì 7 febbraio 2012

LE FOIBE, L’ODIO, GLI SPUTI A BOLOGNA E L’ESODO. DA TITO A MARCO PIRINA.


Con l’inizio del mese di febbraio e, quindi, con l’approssimarsi della ricorrenza della giornata del 10 febbraio, la memoria va inevitabilmente alle vittime della tragedia delle Foibe.  Una pagina dolorosa, che dovrebbe farci riscoprire tutti italiani; eppure, ci divide ancora in rossi e neri. Anzi, divide soltanto coloro i quali sanno cosa sono state le Foibe e l’esodo, visto che da un recente sondaggio è emerso che solo il 43% della popolazione sa di cosa si parla. Colpa dell’inefficienza del sistema scolastico italiano, (che ancora risente dei diktat dei baroni rossi), della sistematica disinformazione operata dai mass-media, (che non hanno ancora cominciato a chiamare fatti e persone con i nomi opportuni), e delle teorie “retributive” e “giustificazioniste” che si diffondono dai salotti buoni del Paese, vera e propria matrice della cultura di Stato, o almeno della sua versione ufficiale.
Ci sono voluti 60 anni per iniziare ad onorare la memoria di quelle migliaia di italiani spinti nelle viscere della terra con quel macabro rituale ormai noto, (legati l’uno all’altro con del filo spinato; un colpo alla testa al primo della fila che, cadendo nel vuoto, trascinava tutti gli altri), e per ricordare la sventura di tutte le altre migliaia che hanno dovuto abbandonare la propria terra d’origine, sottola minaccia delle persecuzioni e della pulizia etnica operata dai comunisti titini, per tornare in Italia. Come sono stati accolti gli esuli al loro rientro in Patria lo sappiamo benissimo:  smistati e confinati negli oltre 100 campi profughi disseminati per tutto il Paese, “dove per molto tempo , ( in alcuni casi perfino dieci anni), vivono in una situazione di totale emergenza, nella più assoluta provvisorietà e promiscuità, attorniati da un clima di avversione o indifferenza” (fonte).  A ben guardare, tuttavia, questo è niente in confronto all’umiliazione che hanno subito durate il viaggio di ritorno nel Bel Paese. Un’accoglienza ostile e feroce organizzata dai comunisti italiani, che qualificavano gli esuli come degli spregevoli fascisti  scappati dal paradiso del socialismo reale jugoslavo, realizzato secondo i dettami del pensatore di Treviri. Ad illustrarci il pensiero dei compagni italiani è proprio “l’Unità”, Organo del Partito Comunista Italiano, con un articolo del 30 novembre 1946, firmato da Piero Montagnani, (Anno XXIII, N. 284. Articolo integrale disponibile qui):  Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi. Questi relitti repubblichini, che ingorgano la vita delle città e le offendono con la loro presenza e l’ostentata opulenza, che non vogliono tornare nei paesi d’origine,perché temono di incontrarsi con le loro vittime, siano affidati alla Polizia che ha il compito di difenderci dai criminali. Nel novero di questi indesiderabili, debbono essere collocati coloro che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici”. 
Conseguenza di simili parole fu l’operato di una masnada di trinariciuti, raccolti nei cd. “comitati d’accoglienza”  organizzati dal partito, che “all’ arrivo delle navi a Venezia e ad Ancona, accolsero gli esuli con insulti, fischi e sputi e a presero a tutti le impronte digitali”. Ancora: “ a La Spezia, città dove fu allestito un campo profughi, un dirigente della Camera del lavoro genovese durante la campagna elettorale dell’aprile 1948 arrivò ad affermare ‘in Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi qui abbiamo i banditi giuliani’. A Bologna i ferrovieri, per impedire che un treno carico di profughi provenienti da Ancona potesse sostare in stazione, minacciarono uno sciopero. Il treno non si fermò e a quel convoglio, carico di umanità dolente, fu rifiutata persino la possibilità di ristorarsi al banchetto organizzato dalla (Poa) Pontificia Opera Assistenza”. Ironia della sorte: “i profughi non crearono mai, in nessun luogo dove trovarono rifugio, problemi di criminalità”.  (fonte).
Una situazione inaccettabile, perché aberrante, perché indecente. Un’indecenza accresciuta dalla targa che il Comune di Bologna ha affisso alla stazione di Bologna nel 2007, la quale recita: “Nel corso del 1947 da questa stazione passarono i convogli che portavano Esuli Istriani, Fiumani, Dalmati: italiani costretti ad abbandonare le loro case dalla violenza del regime nazional comunista Jugoslavo ed a pagare, vittime innocenti, il peso e le conseguenze della guerra di aggressione intrapresa dal fascismo. Bologna seppe passare rapidamente ad un atteggiamento di iniziale incomprensione ad un’accoglienza che è nelle sue tradizioni, facendo suoi cittadini molti di quegli Esuli”. Parole gravi, a mio avviso, che offendono la memoria di quelle genti e ne scherniscono la sofferenza, giacché trasformano l’odio politico e il disprezzo per la Patria in una “iniziale incomprensione”, la pulizia etnica in una specie di ritorsione e rivalsa slava, nonché l’operato di qualche buon cristiano bolognese in un’opera di pubblica accoglienza dei profughi.
Niente di più lontano dalla realtà, dato che lo Stato italiano si è ben guardare dall’aiutare quegli italiani, facendoli sentire come sconosciuti in Patria. All’abbandono materiale, si accompagnò poi una forma ancor più grave di oltraggio: la dimenticanza. Per 60 anni, di case espropriate agli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, dell’interdizione dalla vita pubblica, delle torture, delle sevizie e delle uccisioni di massa non abbiamo mai sentito parlare. La loro dolorosa storia, evidentemente, era molto scomoda per la “Repubblica nata dalla Resistenza”, giacché ricordava che, contrariamente a quanto dicevano i “partigiani che scendevano dai monti” , e malgrado le piroette dell’ “ignobil 8 di settembre”, l’Italia quella guerra l’aveva persa e la prova stava proprio nella conferenza di pace di Parigi. Bisognava insabbiare tutto; serviva una congiura del silenzio di proporzioni nazionali perché nessuno potesse sapere. Così, a parlarne erano solo gli ambienti della Destra  e quelli neofascisti; ma guai a fare menzione di quella tragedia sui giornali, nelle scuole, sulle TV o nelle piazze. Si rischiava la scomunica di partito. Bisognava allora affidarsi alla stampa clandestina e alla lettura di libri proibiti, sperando che il tempo facesse crollare la coltre dell’oblio.
Finalmente, questo muro di omertà comincia a cadere e le malefatte dei comunisti slavi, (coadiuvati dall'operato dei compagni italiani), iniziano a porsi all’attenzione della gente comune. Non a caso; bensì solo grazie all’opera di alcuni pionieri della storia, che hanno sfidato la sorte, il veto e le “scomuniche laiche”, pur di far sapere agli italiani cosa avevano vissuto tanti loro compatrioti di origine fiumana, istriana e dalmata. Mi riferisco ai vari Petacco, Parlato, Oliva, Rumici e tanti altri. In particolare, a Marco Pirina, storico friulano da poco scomparso, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente. Uno che ha dedicato gran parte della sua vita all’approfondimento di queste vicende. Un uomo gentile e determinato che ha riportato in Italia, a costo persino della propria incolumità, migliaia di documenti custoditi negli archivi slavi, poi raccolti in diversi volumi, (disponibili sul sito http://www.silentesloquimur.it/sito1/libri.htm). Grazie a questo eroe dei tempi moderni, (lo dico senza retorica e senza esaltazione), abbiamo scoperto  che il governo italiano pagava con 3 milioni di lire al mese le armate jugoslave perché arrivassero a Trieste prima degli Alleati. Ma non erano i soli quattrini italiani che finivano in mano slava. C’erano, infatti, i denari che Tito riceveva mensilmente, fino a tutti gli anni ’60, a titolo di mantenimento di alcuni prigionieri italiani, perché non ritornassero, dato che la situazione politica era cambiata. Ma non è tutto: scavando tra le 29.149 pensioni che l’INPS paga nella ex Jugoslavia sin dal 1947, sono saltati fuori anche i nomi di alcuni personaggi che sarebbero gli esecutori materiali degli infoibamenti (fonte).  Vi elenco soltanto i nomi, rimandandovi al sito di riferimento per leggere con i vostri occhi di quali fatti si siano macchiati questi signori, mantenuti con pensioni italiane con tanto di diritto alla reversibilità del 100%:
  • ·         Cino Raner
  • ·         Nerino Gobbo
  • ·         Franco Pregelj
  • ·         Giorgio Sfiligoi
  • ·         Oscar Piskulic
  • ·         Ivan Motika
  • ·         Giuseppe Osgnac
  • ·         Guido Climich
  • ·         Giovanni Semes
  • ·         Mario Toffanin
  • ·         Alojz Hrovat
  • ·         Avijanka Margitic
Una cosa, ancora, vorrei farvi notare: la chiara origine italiana di questi nomi e cognomi. Un dato che dimostra ulteriormente l’italianità di quelle terre.  Un marchio italico che è confermato dalla storia, dal dominio di Venezia in primis, dai censimenti, dai nomi e dalla struttura delle città, (come ad esempio Grisignana, che anche dal censimento del 2001 risulta a maggioranza italiana), e persino dalle confessioni Milovan Gilas,  politico, antifascista partigiano e militante comunista jugoslavo. Costui, in un intervista rilasciata a Panorama nel 1991, disse: “ Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria a organizzare la propaganda antitaliana. Si trattava di dimostrare alle autorità alleate che quelle terre erano jugoslave e non italiane. Ovviamente non era vero. O meglio lo era solo in parte, perché in realtà gli italiani erano la maggioranza nei centri abitati, anche se non nei villaggi. Ma bisognava indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto”.
Una vicenda che si commenta da sola. Una tragedia che ha bisogno di essere ricordata in tutta la sua pienezza, non solo il 10 febbraio, ma tutto l’anno. Un compito che, vista la provenienza dei signori che ci governano, (molto vicini alla sinistra italiana, notoriamente universo satellite dell’Unione Sovietica), può aspettare soltanto a noi. Dobbiamo esserne all’altezza. Ce lo impongono circa 30.000 scomparsi e più di 300.000 esuli, tutti compatrioti. Dal primo all’ultimo, sia chiaro!
Roberto Marzola.

lunedì 6 febbraio 2012

ENZO BASSI: UNA VITTIMA INNOCENTE.

Nei giorni scorsi, si è tornato a parlare di storie legate alla guerra. In particolare, è tornata alla luce la storia di Enzo Bassi, un giovane montegranarese, classe 1922, morto in tragiche circostanze nel 1944.
Anziché essere un'occasione per dare un contributo importante alla memoria storica locale e per liberarsi di vecchie ruggini, si è trasformata in un discutibilissimo pretesto per dare addosso ai fascisti di ieri, (autori materiali del fatto di sangue), e a quelli di oggi che, nel bene e nel male, stanno dando una crescente scossa alla vita di questo Paese. La tecnica è sempre quella: si sposa come vera, assoluta, esauriente e, quindi, inattacabile una certa versione dei fatti, (in questo caso: un breve saggio scritto da un'anziana insegnante del luogo e la testimonianza di una parente della vittima), e la si usa come clava o, se preferite, come un mezzo di propaganda politica.

Così, si dice alla gente che Enzo Bassi, tornato nel Paese d'origine dopo l'armistizio dell'8 settembre, si rifugiò nelle campagne per sottrarsi alla nuova chiamata alle armi e per ricongiungersi all'affetto dei propri cari. Nel frattempo, alcuni prigionieri inglesi erano evasi dal luogo di detenzione, scatenando una vera e propria caccia all'uomo. Le immediate indagini portarono i soldati italo-tedeschi nelle campagne di Montegranaro, proprio dove si trovava Enzo Bassi il quale, pensando che le camionette fossero giunte per lui e per gli altri renitenti alla leva, cercò di scappare. Una raffica di mitra lo raggiunse, colpendolo a morte; uno dei suoi compagni di sventura, il Petrini, fu fatto prigioniero, mentre l'altro, Conti, riuscì a fuggire.
Questo è quanto si legge nella ricostruzione proposta ed è quanto effettivamente avvenuto. Tuttavia, manca un elemento fondamentale: i soldati italiani, i tedeschi e i Carabinieri in servizio ausiliarono intimarono l'ALT ai ragazzi in fuga, rispettando una precisa prassi militare. Non di assassinio si trattò, dunque, ma di una fatale circostanza che portò Enzo Bassi a sentirsi braccato quando non lo era, e che vide i soldati delle forze dell'Asse alle prese con dei fuggitivi che non rispettavano un preciso ordine militare. Così è scritto nella tesi di laurea di ricerca di un mio amico, ("Montegranaro in Camicia Nera. Un paese immerso nel Ventennio"), alle pagg. 165-167, che cito testualmente: "in quel 14 marzo, a metà del pomeriggio, giunsero rinforzi da Fermo per agevolare la già nutrita squadra di ricerche degli inglesi. Verso le ore 17.00, Enzo Bassi insieme ad altri ragazzi, Ninì Petrini e Serafino Conti, si trovavano nelle campagne nei pressi del cimitero. Non sapendo della fuga dei prigionieri, alla vista delle camionette dei fascisti,dei tedeschi e dei carabinieri, gli stessi ipotizzarono che fossero giunte in città per rastrellare i renitenti proprio come loro tre e, per tale motivo, si diedero alla fuga attraversando la strada proprio davanti agli automezzi, cercando scampo oltre la campagna, verso il fiume Ete. Vedendo la scena fu naturale per le squadre occorse INTIMARE L'ALT e, considerata la corsa, furono sparate alcune raffiche di mitra. Serafino Conti riuscì a scappare; il Petrini, dopo essere stato identificato, venne fatto prigioniero come renitente, ma Enzo Bassi, raggiunto dalle pallottole, morì sul colpo. [...] I riverberi della morte di Bassi si diffusero rapidamente e la tensione in città salì. Le famiglie che sottraevano volontariamente i figli dalla leva si sentirono direttamente coinvolte e per il resto della popolazione l'episodio rappresentò il passaggio ai fatti delle esasperanti minacce di morte provenienti dal comando militare, rimaste sino ad allora appese sui muri e mai concretamente applicate con rigidità dai fascisti o dai tedeschi che, tra l'altro, stazionavano a Fermo e lasciavano il controllo del territorio cittadino ai soli carabinieri locali".

Un particolare, dicevo, che di certo non riporta in vita un giovane morto innocentemente e che non può bastare a consolare il dolore dei suoi parenti; ma che, almeno, sgombera il campo dall'odio e toglie il marchio d'infamia su altri uomini e ragazzi, chiamati ad evitare l'anarchia in tutto il Paese dopo il vergognoso voltafaccia dell'8 settembre 1943, che aveva visto persino il Re voltare le spalle all'Italia e agli Italiani.

Lasciatemi dire che come montegranarese sono assolutamente scandalizzato da certe evidenti strumentalizzazioni, da chi gioca coi sentimenti delle persone e persino sulla pelle dei defunti, pur di continuare ad alimentare un clima di divisione e di odio politico e, più in generale, da chi rievoca e storpia la storia. La Storia, (quella vera!), non si manipola, non si aggiusta, né si commenta; si osserva, si comprende e si assimila. In una parola: si studia. E la si studia per la propria funzione pedagogica, per la sua capacità di spiegare il presente e di indirizzare il futuro; ma quando la storia s'accompagna alla menzogna e al calcolo politico non ci sono né pedagogia, né presente e né futuro. Non c'è neanche rispetto per i morti. Ci sono solo ipocrisia, meschinità e squallore. Alla faccia dell' "imbarbarimento della società" !

Roberto Marzola.

P.S. Dedico questo scritto all'amico P.G., Grazie a lui e al suo impegno ho potuto conoscere da vicino un capitolo importante della storia della mia cittadina natia. Un esempio per tutti di umanità, di integerrimità, di coerenza e di amore per il nostro per il nostro Paese.

giovedì 2 febbraio 2012

MONTI DIXIT: "IL POSTO FISSO E' MONOTONO".

Stamattina quando ho letto la notizia credevo fosse uno scherzo; invece, è la realtà nuda e cruda. Monti l'ha detto sul serio: "il posto fisso di lavoro? Monotono. [...] I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno il posto fisso".

Vorrei dirne tante, ma mi contengo. Essere scurrile non fa parte di me. Cercherò di mantenere la calma e di esporre un pensiero che abbia senso, anche se mi verrebbero tanti insulti.

Così, per il Gran Maestro, io, (che fino a prova contraria sono giovane), dovrei abituarmi all'idea di dover vivere alla continua ricerca di un lavoro occasionale. Il che, più o meno, equivale a dire: oggi lavoro in uno studio legale; domani potrei ritrovarmi a fare il manovale in fabbrica o l'operatore ecologico. Non che mi spaventi l'idea di "sporcarmi le mani", sia chiaro. L'ho già fatto in passato, quando avevo bisogno di qualche soldo, e sono pronto a svolgere qualsiasi attività lavorativa che mi permetta di mantenere me ed una eventuale famiglia futura. E' il tempo che intercorre che tra i due lavori a farmi paura. Che farò in quel lasso? Avrò soldi? Sarò in grado di soddisfare le comuni esigenze? Potrò fare la spesa, pagare le bollette, il bollo della macchina e tutto il resto? Non si sa.
Non è solo l'incertezza, tuttavia, a spaventarmi; è anche il piano del signor Monti che mi fa orrore. In teoria, questo signore sta dove sta, perché dovrebbe rilanciare l'Italia. Ebbene, spera forse di riuscirvi creando sempre più lavoratori "intermittenti" e disoccupati? Al Professore, ricordo che le ultime rilevazioni dell'ISTAT attestano la disoccupazione media all'8,9 %; tra i giovani, però, si hanno tassi del 31%. Tradotto: quasi un giovane su tre è a spasso. E lui non trova niente di meglio da proporre che il lavaggio del cervello: sappi che non lo avrai mai. Adeguati a questa idea, oppure peggio per te. Praticamente, un avvertimento in stile mafioso; "sobriamente" mafioso, s'intende.

Io, invece, cari giovani compagni di sventura, vi dico soltanto una cosa: andiamo a prendere per le orecchie questi signori e togliamogli l'incarico che occupano indebitamente. Fatto questo, cominciamo a parlare di riforma dell'università, per creare degli atenei a misura di studente, (anziché di barone!), che preparino in maniera efficiente e rapida al mercato del lavoro, senza intutili esami e materie assurde, buone soltanto per dar lavoro al presunto professore di turno. Stessa sorte per gli istituti professionali superiori: vengano ristrutturati, affinché possano essere in grado di dare una formazione altamente specializzata a ragazzi giovanissimi. Costi quel che costi, anche quello di sbarazzarsi di un'intera classe di insegnanti o prefessori. Tornino anche loro sui libri e si mettano al passo coi tempi. Bisognerebbe anche, a mio avviso, intavolare una discussione sul settore ricerca: le nuove tecnologie offrono un'infinità di occasioni lavorative in tutti i settori dell'economia, dal primario al terziario e continuare a privarsene è semplicemente da stupidi. Infine, chiediamo una forte opera di sostegno da parte dello Stato a tutti quei giovani che vogliano aprire una qualsiasi attività economica, fatta sì di sovvenzioni, ma anche e soprattuto di sgravi fiscali. La giovane età non deve essere più un fattore penalizzante; ma una carta in più da giocarsi.
Rimbocchiamoci le maniche, insomma, perché solo noi possiamo disegnare un futuro diverso per noi stessi. Francamente, io, (non so voi), non sono disposto ad ingurgitare la minestra del Professor Monti; piuttosto, come dice il proverbio, salto dalla finestra. Anzi: ci butto lui dalla finestra. Quel che è troppo è troppo. E che cazzo!

Roberto Marzola.