BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


giovedì 29 marzo 2012

L'ITALIA PIANGE LA SCOMPARSA DELLA PAROLA "SOCIALE"

Parliamoci chiaro: in Italia è scomparsa la parola "sociale". Molto più di un aggettivo qualunque, dato che esprime un rapporto tra il singolo e la comunità che lo circonda; una partecipazione diretta ed attiva dell'individuo in quel sistema complesso che si è soliti chiamare "società". Volendo ricorrere ad una metafora, si potrebbe paragonare la società ad un organismo vivente ed il singolo ad un organo. Un'immagine cui hanno fatto ricorso in tanti e ben più titolati di me, per parlare di "stato organico".
Se poi l'aggettivo "sociale" assume un'accezione politica, allora, il suo significato e la sua importanza crescono ulteriormente: si passa dalla partecipazione-appartenenza del singolo al ruolo dello Stato nello svolgere attività  in favore degli strati meno abbienti, al fine di realizzare una migliore perequazione tra le varie componenti sociali. Una politica orientata verso questi obiettivi ha sempre contraddistinto, (almeno sulla carta!), tutte quelle correnti di pensiero che trovano la propria origine nel socialismo: Comunismo, Fascismo, Nazismo, Socialismo reale ecc. hanno cercato di affrontare la questione in maniera diretta, con un'azione politica mirata verso le classi sociali più disagiate. Il capitalismo di matrice liberale, invece, approccia alla questione in maniera mediata: sono i singoli che, crescendo, (ossia facendo profitti), creano ricchezza intorno ad essi, stimolando la crescita degli altri individui. Questioni teoriche, se vogliamo, che vanno prese direttamente dall'iperuranio in cui vivono e calate nel mondo reale. Un'operazione difficoltosa, perché mostra in maniera impietosa i fallimenti di decenni di teorizzazioni e politiche sociali. Sappiamo tutti che l'azione sociale di Nazismo e Fascismo è stata spazzata via dalla guerra, (sebbene i loro successi siano sopravvissuti ad essa); quella dei Paesi comunisti o del cd. "socialismo reale" è crollata insieme all'economia di quegli stessi Paesi; quella liberal-capitalistica, semplicemente, si è rivelata una giungla, dove il singolo individuo, più che "contagiare" gli altri, li elimina dal mercato, in una continua lotta per la sopravvivenza.
In Italia, dal dopoguerra ad oggi, le politiche sociali sono state uno dei più colossali fallimenti della repubblichetta "nata dalla resistenza". Il Paese precipita verso una povertà incontrollabile. Sempre più imprenditori medio-piccoli chiudono i battenti. Alcuni, addirittura, arrivano a gettarsi in mezzo alle fiamme; altri ad impiccarsi o, comunque, a togliersi la vita, perché sommersi da debiti che non possono pagare o da crediti che non riescono a riscuotere. Le industrie medio-grandi scappano all'estero. Ha cominciato la FIAT, andando a produrre in Serbia, Polonia e Brasile; ha continuato la OMSA che, ormai, produce stabilmente nei Paesi della Ex-Yugoslavia; tante altre hanno seguito l'esempio. I lavoratori, dal canto loro, passano sempre più tempo con le mani in mano, in attesa di un'occupazione che forse non verrà mai e di una pensione che è giusto un miraggio. I giovani o sono disoccupati oppure abbandonano il Paese, magari cercando di coronare l'ormai classico "sogno americano". Le famiglie sono ridotte sul lastrico: fanno una fatica bestiale ad arrivare a fine mese, a portare il pane in tavola. Di conseguenza, fanno sempre meno figli, anche a causa dell'impossibilità di far fronte alle spese che i pargoli solitamente comportano: pappe, passeggini, pannolini, asilo, scuola, libri eccetera. E' un Paese che muore, perché privato del proprio futuro. Non stanno messi meglio gli anziani, che vedono sparire la loro pensione tra affitto e bollette. Mangiare? Una necessità che si soddisfa magari una volta al giorno. Comprare un vestito nuovo? Un lusso insostenibile. Regalare 50 euro ai nipoti? Un ricordo d'altri tempi. La casa? Una vera e propria emergenza sociale, dato che la prima abitazione è iper-tassata e che le case popolari non vengono più costruite e, quando ci sono, vengono assegnate ai nuovi immigrati. Risultato: cresce il numero dei poveri; diminuiscono il numero e la qualità dei servizi d'assistenza.
Se dal privato, poi, ci si sposta al pubblico, non è che la situazione migliori. La sanità è al collasso, oberata come è da costi di strutture poco funzionali, ricoveri spesso inutili e dirigenti, nominati direttamente dalla politica, con stipendi principeschi. Stendiamo un velo pietoso sulla scuola. Vi dico solo che i genitori degli alunni sono costretti a fare la colletta per comprare i gessetti e la carta igienica, (non sto scherzando: è ciò che avviene, per esempio, nel mio paesuncolo, un tempo centro del famoso "triangolo d'oro della calzatura"). Vogliamo parlare delle strutture di ricovero per anziani, malati mentali e tossicodipendenti? Quasi tutte strutture private. Ammortizzatori sociali? E chi se li ricorda più! Ormai, insomma, non resta che affidarsi alle ONLUS e alle associazioni di carità cristiana o private che, nel bene o nel male, cercano di dare aiuto per le strade e nei quartieri più disagiati d'Italia, spesso distribuendo pane, pasta, latte e biscotti. Pensate come siamo messi!
Tuttavia, non è questa la cosa più deprimente, ciò che fa più male. E' ancora più doloroso e, per certi versi, irritante, notare il più completo disinteresse delle istituzioni, dei partiti politici e dei sindacati. Napolitano ha detto che "gli italiani non sono esasperati dalla crisi". Monti, invece, ha dichiarato che " il suo governo gode di ampi consensi", precisando che lo dicono i sondaggi (quali?). I partiti politici, per non sapere né leggere né scrivere, non trovano niente di meglio da fare che sedersi a banchettare con i tecnici "illuminati"; i sindacati, invece, giusto per non perdere il vizio, proclamano qualche sciopero a casaccio: quanto basta per lavarsi la coscienza.
Mi domando: ma quanto ancora deve durare questa farsa? Possibile che siamo tutti così idioti da subire passivamente quanto sta avvenendo? Vogliamo davvero morire con questa lenta agonia, giorno dopo giorno, magari di fame e stenti?
La mia paura è che il risveglio ci sarà, ma fuori tempo massimo. Rovesceremo il tavolo quando i giochi saranno già compiuti, quando i lorsignori si saranno già spartiti il bottino, e noi resteremo lì a rosicchiare le briciole. No? Dimostratemi il contrario, almeno una buona volta. Coglioni!

Roberto Marzola.

martedì 27 marzo 2012

C' ERA UNA VOLTA L'ITALIA


C’era una volta l’Italia. Paese di santi, eroi e navigatori.  Terra del mecenatismo, di pittori della scuola giottesca e di Raffaello, di scultori quali Brunelleschi, Donatello e Michelangelo, di grandi scienziati come Leonardo da Vinci e Galilei. In quell’Italia si costruivano Palazzo Rucellai e Palazzo Farnese; rincorrevano la sommità del cielo San Lorenzo , la Basilica di Santa Maria Assunta e quella di San Giorgio Maggiore; si studiavano il volo degli uccelli, i principi dell’idraulica e i fossili; si ponevano le basi della moderna astronomia e del metodo scientifico e si teorizzava, per la prima volta, il principio d’inerzia.
Fu poi la volta dell’Italia della nuova poesia e del “Melodramma”, della Mirandolina che non voleva andare in sposa a nessuno, facendo tutto a modo suo e del titanismo dell’Alfieri; degli infiniti paesaggi veneziani del Canaletto, della “Caduta degli angeli ribelli” e del “Cacciatore a cavallo” del Tiepolo, nonché dell’ “Amore e Psiche”, del “Teseo e il Minotauro” e dell’ “Ercole e Lica” di Canova, così vive eppure scolpite nella roccia; dell’ingegno e della “Scienza Nuova” di Vico; di Cesare Beccaria che rifiutava la pena di morte e le torture.
E come dimenticare l’Italia che parlava per bocca di Leopardi e Foscolo? Come non ricordare l’Italia di Leopoldo I, duca di Toscana, che per primo aboliva la pena di morte e riformava le leggi civili? Come non parlare di quell’Italia che si ribellava al dominio straniero e che si univa in un crescendo di moti popolari d’insurrezione e di guerre per l’indipendenza, guidata da fieri condottieri? Perché non parlare dell’Italia del movimento dei Macchiaioli, della nascente Scuola di Pozzuoli e quella romantica musicata da Verdi?
Venne, infine, l’Italia tragica e patriottica che non voleva “il barbaro invasor” e che cantava “non passa lo straniero”; dei ragazzi in trincea sulle vette alpine che lanciavano la stampella contro il nemico; l’Italia del Milite Ignoto e degli Arditi; l’Italia delusa di Fiume e della Vittoria Mutilata, del Natale di Sangue; l’Italia che riscattava se stessa e che si liberava dal pericolo della nuova dominazione straniera d’oriente a San Sepolcro il 23 marzo del 1919 e a Roma il 28 ottobre 1922; l’Italia delle bonifiche, delle riforme scolastiche, delle grandi innovazioni legislative in campo civile e penale; l’Italia che pareggiava il bilancio e che si ribellava al capitalismo d’occidente, scegliendo di camminare da sola e con le proprie gambe; l’Italia che segnava record produttivi in tutti i campi dell’economia e che faceva impallidire gli indici di crescita delle potenze europee e atlantiche; l’Italia che vinceva la sua partita con la Mafia e quelle sui campi di calcio con Schiavio, Meazza, Ferrari ed Orsi; l’Italia che diventava potenza coloniale e che aboliva la schiavitù “sotto al sol dell’equator”; l’Italia dei colori e del moto dei futuristi; l’Italia del “Nessun dorma” e di Vitangelo Moscarda; l’Italia di Boccioni, Balla e De Chirico; l’Italia eroica di El Alamein, di Alessandria, di Salò e della Valtellina…
Che bella favola era l’Italia! Una favola che non c’è più; una favola senza lieto fine. Cosa resta, infatti, di quel mondo incantato, fatto di sommi poeti, incommensurabili artisti e pioneristici scienziati? E cosa di quel Paese che aspirava a diventare Patria, a divenire nazione? Poco, molto poco. Residua una terra dai confini geografici virtuali; uno Stato dominato da forestieri; un Paese che non è Patria e che si vanta di aver trucidato senza processo un uomo ed una donna, oltre a migliaia di uomini e ragazzi che preferivano il silente volo delle aquile al rumore assordante delle industrie inumane dello zio Sam. Rimane una schiera di criminali di guerra e di briganti che si è autoproclamata vincitrice e liberatrice di non sa bene cosa e non si sa bene come e quando. Permangono una serie di governi e governicchi collusi con la Mafia e con i partigiani di Tito, che hanno voltato le spalle ai fratelli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, che hanno lasciato morire decine di giovani nelle strade e nelle piazze per capriccio dei servizi segreti e per auto legittimarsi, e che hanno abbandonato veri e propri eroi civili che cercavano di combattere tutto questo, lasciandoli indifesi davanti agli ordigni di Capaci e Palermo. Sopravvivono i cadaveri putrescenti dei partiti della prima repubblica, sebbene abbiano tentato più volte di cambiare foggia; vivacchiano politicanti che hanno realizzato la profezia poundiana sul rapporto tra economia, politica e banche. Ma, soprattutto, dominano schifosi dipendenti della finanza speculativa, della massoneria più aggressiva e delle banche private d’affari, che chiedono sacrifici a tutti, impongono licenziamenti più facili ed indiscriminati, fanno impennare il prezzo del pane e dei carburanti, rubano il futuro ai giovani e li invitano ad andarsene all’estero, negano la pensione agli anziani e regalano il Paese e il lavoro agli immigrati.
Chi l’avrebbe mai detto che quella favola si sarebbe trasformata in una tragedia? Chi avrebbe potuto prevederlo? Sarà la punizione divina per aver mangiato la mela del socialismo nazionale, del corporativismo e della socializzazione (autentici frutti proibiti)? Sarà il castigo del dio denaro per aver osato compiere il “folle volo” di una Patria libera da ingerenze straniere, pronta a divenire luogo di crescita umana, sociale e spirituale per l’individuo? Sarà il ripetersi del mito delle cinque età e, dunque, siamo tutti testimoni dell’involuzione progressiva ed inarrestabile dell’uomo? Non lo so. Per ora so soltanto che siamo uomini tra le macerie. E “ad una cosa soltanto si deve badare: a restare dritti in un mondo di rovine. Allora, non dimentichiamo gli antichi fasti e i profondi insegnamenti dei maestri. Riprendiamo coraggio. Ricominciamo a credere ai sogni e agli ideali; ricominciamo a credere al tempo delle favole!

Roberto Marzola.

domenica 25 marzo 2012

E' REATO CHIEDERE LE DIMISSIONI DI MONTI?

Ma quanto ci vorrà per capire che stiamo vivendo una situazione politica anormale e, per certi versi, paradossale? Stavolta mi riferisco non tanto e non solo al fatto che abbiamo un esecutivo non eletto, bensì imposto e che se ne è fregato degli italiani, del parlamento e dei sindacati. No, mi riferisco a ben altra circostanza: normalmente, quando un esecutivo non riesce a raggiungere gli obiettivi per cui è stato eletto, viene caldamente invitato a togliere le tende per tornarsene a casa. A maggior ragione, una squadra di governo che sia priva dell'appoggio popolare dovrebbe sgomberare il campo ancor prima, se fa fiasco.
Ora, è innegabile che il governo del professore Mario Monti sia un flop totale. Lo dicono i numeri; lo affermano gli istituti preposti a monitorare l'economia italiana. Così, l'ISTAT ha detto expressis verbis che l'Italia è in recessione tecnica. Queste le parole del presidente dell'istituto di statistica, Enrico Giovannini: "(il PIL) nel quarto trimestre è sceso dello 0,7 rispetto al trimestre precedente. E rispetto al quarto trimestre del 2010, il calo è dello 0,4% .Poche storie: il paese è in recessione. Per due trimestri consecutivi, infatti, il Pil ha registrato un calo congiunturale e questo, secondo la statistica, determina quindi una recessione" (fonte).Gli hanno fatto eco Federconsumatori e Adusbef, le quali registrano forti contrazioni nei consumi delle famiglie (idem). Stando a quanto riporta "Il Giornale", poi, gli investitori stranieri avrebbero disinvestito oltre 58miliardi di euro di titoli italiani (fonte). Dulcis in fundo, la Confcommercio rileva una pressione fiscale pari al 55% -record mondiale!-, PIL in calo dell'1,3%, consumi ai minimi da 19 anni a questa parte e Paese che, in generale, torna indietro di 14 anni (fonte).
Mi pare che le cifre lascino poco spazio per la difesa di Monti e della sua squadra. Mi spiace, ma i tecnici non si sono rivelati all'altezza del compito che è stato loro assegnato; hanno fallito, dunque se ne devono andare. A me sembra una conclusione logica, scontata, al limite del banale; eppure nessuno dice nulla. Tutto tace. Nel tombale silenzio che ingloba la scena, allora, il compito di dar loro il ben servito, visto che i partiti fanno orecchie da mercante e Napolitano pensa già alla sua pensione d'oro, può toccare solo a noi italiani. Mi sorge solo una domanda: basterà fare pressioni per chiedere le elezioni subito, o bisognerà iniziare a marciare in direzione Roma? Fatemi sapere la vostra. Io, nel frattempo, vi anticipo la mia: ho una certa voglia di camminare...

Roberto Marzola.

mercoledì 21 marzo 2012

ESISTE UNA SOLA FAMIGLIA: QUELLA TRADIZIONALE!

Prima di esprimermi, devo fare una premessa, (per quello che può valere): non sono “omofobico”, come va di moda dire ora. Lo dico per tagliare le gambe ai signori che occupano il 90 e più percento dei media, ai feudatari dell'opinione pubblica, ai tiranni della morale. Insomma, a tutta quella gente che pretende di affibbiare, spesso in maniera assolutamente gratuita, sterili etichette, nonché di imporre ragionamenti a compartimenti stagni, in base ai quali "siccome sei questo, allora devi essere per forza anche quest'altro", senza che sia possibile obiettare alcunché. Voglio metterli a tacere perché è comodo e vigliacco creare mostri per cercare di nascondere la pochezza delle proprie idee e la propria intolleranza. Un giochino che ha funzionato per troppo tempo e che deve finire.

Sgomberato il campo da possibili equivoci, posso finalmente iniziare. E comincio dicendo che ormai il matrimonio tra omosessuali è cosa fatta. Gli hanno spianato la strada il Parlamento europeo prima e la magistratura poi. Nel giro di qualche anno assisteremo ai matrimoni con due frak o con due abiti bianchi. Lo impone il mito dei "diritti uguali per tutti". Diritti: sempre e solo diritti. E' facile e d'impatto parlare di “diritti”. "Diritti" è una parola che fa godere l'udito; parlare di doveri, invece, fa storcere il naso. Eppure bisogna farlo, perché persino un qualsiasi deficiente che abbia un qualche rudimento di diritto di famiglia, (a cominciare dal sottoscritto), o che abbia sfogliato il codice civile, sa benissimo che il matrimonio comporta diritti e doveri. Lo dice l'art. 143: "Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri". Poi chiarisce quali siano questi doveri: "Dal matrimonio deriva l’obbligo alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia". L'art. 147, quindi, indica i doveri verso i figli: " Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli ". Doveri che la legge pone per garantire, proprio attraverso il matrimonio, la creazione di una famiglia; quella stessa famiglia che l'art. 29 della Costituzione definisce e riconosce come "società naturale fondata sul matrimonio", ossia come unione di persone di sesso opposto che si uniscono, magari per generare uno o più figli. Alla famiglia, poi, si applicano tutta una serie di altre norme, a cominciare dalle norme tributarie che consentono di alleggerire il carico fiscale dei coniugi.
A questo serve il matrimonio: a creare dei figli, a donare un futuro al Paese e al mondo, a generare vita, a dare continuità umana ed ideale. In quest’ottica si giustificano tutte le tutele poste a presidio del matrimonio, molte delle quali riguardano proprio i figli. Così si spiegano le norme ereditarie, che garantiscono il coniuge ed i figli, (lasciando peraltro impregiudicata la possibilità di destinare la quota disponibile a chiunque desideri il de cuius, nonché quella di trasferire beni per via contrattuale, ragion per cui, le coppie omosessuali potrebbero praticare proprio questa strada). Allo stesso modo si legittimano gli sgravi fiscali.
Per quale ragione, dunque, dovremmo snaturare l’istituto del matrimonio, consentendo l’accesso anche alle coppie omosessuali, che si differenziano da quelle eterosessuali per il fatto, (decisamente non trascurabile!), che sono incapaci di mettere al mondo dei figli e, quindi, non possono godere della ragione principale di così tanti istituti di favore? Sarebbe un abominio, un’assurdità etica e logica: etica perché porrebbe in secondo piano la tutela della vita, soppiantata dal desiderio di emancipazione di una minoranza; logica perché verrebbe contraddetto il principio di proporzionalità, (insito nell’art.3 della Costituzione), secondo cui situazioni uguali devono trattarsi in maniera uguale, e situazioni differenti, devono trattarsi in maniera differente.
Ma vi è di più: si annullerebbe la stessa differenza tra uomo e donna; tutto si appiattirebbe sulla smisurata considerazione di un essere androgino che dà più importanza alla denuncia dei redditi e alle successioni testamentarie che ai bambini. Lo dico senza cattiveria! Pensateci: se si ammettesse la reversibilità della pensione per il partner omosessuale, lo scarico fiscale e tutto il resto, di quante e quali misure di sostegno potranno beneficiare le coppie con figli a carico? Assegni sempre più risicati, deduzioni sempre minori. Questo è, purtroppo.
Finiamola, dunque, con questa autentica follia. Non diamola vinta a chi vuole semplicemente il riconoscimento di uno status fine a sé stesso; non tolleriamo che una sparuta minoranza, (amplificata da una casta di tromboni moralisti e moraleggianti), possa imporre le sue egoistiche convinzioni; non permettiamo a certi signori di fare della sessualità e dell’amore una questione di mercato. Già, perché c’è anche questo da dire: l’omosessualità è spesso espressione di una sessualità mercificata, un mezzo per attrarre consumatori e per vendere beni di consumo. Invece, amore e sesso dovrebbero significare anche e soprattutto vita. Occupiamoci della famiglia, messa a repentaglio dalla crisi economica, della natalità che rasenta lo zero, dell’istruzione dei bambini e della loro educazione: questi sono i veri bisogni del Paese. Lasciamo gli omosessuali liberi di vivere la loro vita, di innamorarsi, di convivere, di viaggiare insieme al proprio partner, di uscire a cena fuori e di fare qualunque altra cosa vogliano. Una sola preghiera rivolgo a questi ultimi: siate voi stessi e fieri di essere ciò che siete, senza esibizioni e, soprattutto, senza “usurpare”il ruolo di nessuno. Credo sia questo il miglior riconoscimento; questa la più grande “battaglia di civiltà”.

Roberto Marzola.

sabato 17 marzo 2012

UNA VOCE DALL'UNGHERIA: "NON SAREMO UNA COLONIA! "

 "Dio salvi l'Ungheria e difenda l'Europa dalla peste liberale e dal marciume morale"
(Uno striscione esposto dai dimostranti ungheresi)
***
In Europa, nella nostra vecchia, cara Europa, forse, c'è ancora un po' di patriottismo. Magari, esiste ancora un piccolo spazio per il sogno romantico e- mi verebbe da dire- poetico di un uomo che mette il suo Paese ed il suo popolo davanti a tutto e tutti. Sto parlando di Viktor Orbàn, attuale capo di governo ungherese. Ho letto il suo discorso, (ovviamente una traduzione!), pronunciato in occasione della festa nazionale del Paese magiaro. Che emozione! Non avrei mai neanche lontanamente pensato che un politico dei nostri giorni, pur se straniero, sarebbe riuscito a toccarmi così nel profondo. E' stato davvero commovente leggere parole di ribellione e di elogio della Patria; parole vere, sentite e commosse, che ben poco hanno a che fare con la stucchevole retorica dei piccoli politicanti di Casa Nostra. Ed è stato ancor più bello vedere migliaia di persone in piazza, riunite da una bandiera e strette intorno ad un solo uomo, quasi fossero un solo corpo, una sola anima.
Orbàn ha detto che il suo Paese è stato troppe volte afflitto dal dominio straniero: prima gli Asburgo, poi i Sovietici; oggi l'Unione Europea. Nelle prime due occasioni l'Ungheria è riuscita ad ottenere la sua indipendenza, pur pagata a caro prezzo; oggi, vorrebbe ripetere quelle imprese, disposta a pagare ben altro dazio. Ed è qui che sta la parte più lirica del discorso di Orbàn, capace di dire, in buona sostanza, che il congelamento di 495 milioni di euro in fondi di coesione 2013 nei confronti dell’Ungheria per deficit eccessivo è nulla se paragonato alla libertà del Paese e del popolo magiaro, che non vogliono più essere "colonia", (questo il termine usato), di nessuno.
Non credo che, in questo caso, parlare di "poesia" possa essere considarato un pensiero folle, eretico. Cosa altro può essere e come può altrimenti definirsi il gesto di un uomo che sceglie di parlare direttamente ai suoi connazionali, per dire loro che i signori delle banche non compreranno a nessun prezzo la libertà e l'indipendenza del Paese? Cosa c'è di più alto e profondo del tornare a predicare valori ed ideali in un secolo dominato dal vile dio denaro? Cosa c'è di più commovente della vista di migliaia di persone che si riscoprono popolo?
Forse nulla. Forse è un altro "folle volo" di un Paese della vecchia Europa che sceglie di camminare con le sue gambe e di decidere dove andare con la sua testa;  o, forse, è soltanto l'illusione tardo-giovanile di un ragazzo che ancora spera in un mondo diverso, in una grande Europa, libera e purificata? Non lo so, ma è così dolce sognare di tanto in tanto. Lasciatemi sognare, almeno stavolta. "Ancora 5 minuti mamma!"

Roberto Marzola.

martedì 13 marzo 2012

I "DIRITTI UMANI" E ISRAELE VOGLIONO CANCELLARE DANTE

Esattamente un anno fa nasceva questo blog. Molte cose sono cambiate nel corso di questi 365 giorni: c'è stato l'avvicendamento (coatto?) Berlusconi-Monti; è sbocciata la cd. "primavera araba" ed è scoppiata la guerra in Libia; la crisi economica si è accentuata; il prezzo dei carburanti ha toccato quotazioni stellari e così via.
Pensavo di averle viste tutte, invece mi tocca ammettere che è vero quel popolare proverbio per cui: "al peggio non c'è mai limite". Difatti, mai e poi mai mi sarei aspettato che sarebbero tornati l'Inquisizione e l'Index Librorum Prohibitorum, sebbene di matrice giudaica, non cristiana. Come avrete già capito, mi riferisco a quanto dato in pasto ai giornali da «Gherush92», "organizzazione di ricercatori e professionisti che gode dello status di consulente speciale con il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite e che svolge progetti di educazione allo sviluppo, diritti umani, risoluzione dei conflitti" (così si auto-definiscono). Secondo questi intellettualoni, l'opera magna dell'Alighieri dovrebbe sparire dalle scuole italiane, giacché farcita di convinzioni antisemite e anti-islamiche. A causa dello studio dei cento canti, composti da terzine in volgare e che rappresentano la summa di tutta la cultura medioevale, gli studenti italiani "sono costretti, senza filtri e spiegazioni, ad apprezzare un'opera che calunnia il popolo ebraico, imparano a convalidarne il messaggio di condanna antisemita, reiterato ancora oggi nelle messe, nelle omelie, nei sermoni e nelle prediche e costato al popolo ebraico dolori e lutti".
Affermazioni gravi, prive di qualsivoglia fondamento, che non possono essere intese come semplici opinioni di un gruppo di sedicenti intellettuali al soldo delle Nazioni Unite. A mio avviso, c'è molto di più: è la "soluzione finale" che inizia. Dopo averci costretti a rinunciare alla sovranità politica, economica e monetaria, ad accettare l'immigrazione e l'integrazione e, dulcis in fundo, ad ammainare la bandiera italiana e tutto ciò che rappresenta, i portavoce delle organizzazioni umanitarie con sede negli U.S.A. cominciano a bombardare ciò che resta della nostra identità. La "Divina Commedia", infatti, non è solo una straordinaria opera letteraria, di un valore artistico incommensurabile ed universale; è anche un fenomeno patriottico ed identitario. E' il simbolo della cultura e della lingua italiana, del nascente desiderio unitario, dell'aspirazione a scoprirsi popolo attorno a dei valori comuni, (allora rappresentati dal Cattolicesimo), quali la fede, la ragione, l'amore, il sacrificio, l'attaccamento alla città e al Paese d'origine, e via discorrendo. Valori che, evidentemente, sono d'intralcio alla conquista del potere da parte di quella minoranza che parla per il tramite di questi professorini. Una sparuta masnada di facoltosissimi, che non si accontenta di piegare i mercati a proprio piacimento, di costringere gli Stati ad accettare precise direttive economico-finanziarie, di imporre agli eserciti di bombardare la Palestina, la Siria e la Libia, di scrivere la storia a proprio piacimento, di illudere e schiavizzare le masse con le idee fasulle della "democrazia" e del "libero mercato"; ora vuole di più e pretende un maggior indottrinamento, un lavaggio del cervello ancor più massiccio, l'annientamento delle opinioni critiche, il rogo dei libri. Delitti ben più gravi di quelli che rimproverano al Nazismo, allo Stalinismo e ai Talebani, dei quali puntualmente rievocano l'immagine per legittimare le proprie malefatte.
Sappiamo reagire, allora, a questo attentato a ciò che siamo stati, a ciò che siamo e a ciò che saremo. Non permettiamo che la nostra identità, la nostra anima e la nostra essenza vengano infangate e spazzate via da certi loschi figuri. Facciamo di Dante e della "Divina Commedia" la nostra bandiera da innalzare al vento. Insegnamola ai nostri ragazzi. Facciamogliela imparare a memoria. Puntiamo sulla bellezza della poesia e sul genio artistico di Dante per combattere questi schifosi portatori di sudici interessi materiali. Facciamo sentire forte le nostre parole d'indignazione e manifestiamo in maniera inequivocabile il nostro proposito di non tollerare più certi affronti da parte dei figli d'Israele e dei loro servitori. Dimostriamo di essere degni italiani, degni europei; ficchiamogli bene in testa che la nostra cultura e la nostra Tradizione non sono in vendita. Per fare questo, però, dobbiamo dimostrare prima di tutto di essere Uomini. Proprio come ammonì Dante, allorché disse nel Paradiso: "uomini siate, e non pecore matte, sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!". Facciamogli passare la voglia di ridere...

Roberto Marzola.

domenica 11 marzo 2012

DAI MARO' ALLA NIGERIA: IMPOTENZA ITALIA

Come al solito, quando ho la mente sgombera cinque minuti, provo a ragionare su ciò che accade intorno a me. Poco fa riflettevo sulle tristissime vicende dei due nostri Marò prigionieri in India, su Lamolinara, caduto in Nigeria durante il blitz inglese, e su Rossella Urru, ancora nelle mani dei sequestratori. Vicende tristi e dolorose, rese ancor più amare e difficili da digerire da una constatazione praticamente doverosa: l'Italia è affetta da impotenza sul piano internazionale. E' incapace di affrontare i grandi palcoscenici. Non emerge tra gli altri interpreti, bensì li subisce. Lo avevamo intuito durante l'emergenza sbarchi a Lampedusa, al tempo della guerra in Libia; lo abbiamo ben capito oggi, alla luce di questi eventi. Ora la domanda da farsi è: perché?
Non è facile rispondere. E' facile solo sorridere in maniera sprezzante e canzonatoria a chi dice: "è tutta colpa di Berlusconi, delle sue barzellette" eccetera. Vorrei proprio sapere dove ha vissuto fino all'altro ieri questa folla di teste..."pensanti". Non mi pare che prima dell'avvento del Cavaliere avessimo questo grande peso internazionale, almeno dalla fine della Seconda Guerra in poi, (prima, infatti, lo scenario era un po' diverso, dato che l'Italia aveva un ruolo attivo nel salvaguardare gli equilibri esistenti sullo scacchiere europeo preesistente agli eventi bellici). Dalla conferenza di pace di Parigi in avanti, è stato un continuo subire ordini ed ingerenze: l'ingresso coatto nella NATO, la partecipazione obbligata alle cd. "missioni di pace", i giochi di potere orchestrati dai servizi segreti, (vedi la strage alla stazione di Bologna), le basi militari sul nostro territorio, i morti che abbiamo dovuto piangere senza poter nemmeno far giustizia, (e non mi riferisco solo ai soldati italiani caduti nelle operazioni belliche internazionali, ma anche alla strage del Cermis), e così via. Secondo me, la spiegazione di questa vera e propria disfunzione, o almeno buona parte di essa, poggia proprio su questi fatti, come ho più volte detto e scritto. Siamo un Paese che da ormai 70 anni ha una sovranità politica limitata. Anzi, con il continuo accrescimento di competenze in capo alle istitutzioni europee, ormai siamo liberi di definire praticamente soltanto i regolamenti per caccia, pesca e bocciofile. I nostri politicanti sono dei semplici esecutori di volontà altrui, vili passacarte  distanti anni luce dai bisogni e dai desideri del popolo. Una condizione patologica che si è ulteriormente aggravata con il governo attuale, composto da ubbidienti schiavetti al servizio di quella finanza che controlla l'andamento dei mercati e delle banche, i quali sono riusciti ad ammansire ancor di più, (e non che ne sentissimo la necessità!), i partiti politici, ridotti oggi più che mai ad un'accozzaglia di gente tanto inetta quanto privilegiata.
Un vero e proprio disastro. Vi e mi chiederete quali possano essere le soluzioni. Io mi azzardo nel dire ancora una volta che sarebbe opportuno ed auspicabile recedere da tutti quei trattati che hanno ridotto in catene la nostra Italia, obbligandoci a far parte di organismi deleteri: NATO e U.E. in primis. Sarebbe solo l'inizio, il primo passo per riconquistare almeno la possibilità di poter decidere. Tuttavia, per far questo, occorrerebbe una classa politica coraggiosa e che possa definirsi tale. E chi può essere all'altezza di un simile compito? I vari Fini, Casini, Bersani, Vendola e compagnia? Ma per favore, siamo seri! Ecco, dunque, manifestarsi prepotentemente la necessità di un repulisti come Dio comanda; una pulizia che deve cominciare dal basso, nei comuni e nelle sedi di partito di città e paesi. Fate fuori, (ovviamente in senso metaforico!), tutti gli indegni ed i lecchini; rottamate queste oscenità che si fregiano della dizione di "partito politico"; prendete scopa e paletta in mano: da domani si deve cominciare a far pulizia. Italiani, corciatevi le maniche: è tempo di portare fuori la spazzatura!
Roberto Marzola.

giovedì 8 marzo 2012

8 MARZO: OMAGGIO ALLE DONNE DEL S.A.F.

"In caso di cattura prego il mio comando di non fare passi  per ottenere la mia liberazione con lo scambio di ostaggi"



8 marzo: festa della donna. Una data farlocca, legata ad una leggenda metropolitana: più di cento donne morte a seguito di un incendio appiccato alla fabbrica Cotton di New York dal suo titolare, che voleva punire le dipendenti per aver osato scioperare. Un falso storico, dato che nulla di tutto ciò è mai accaduto. Nessun articolo di giornale ne ha mai parlato; non ci sono foto che possano neanche lontanamente dare una minima parvenza di verità a questa fola. Niente di niente. Eppure, da ormai qualche decennio, l'8 marzo è universalmente riconosciuta come "la festa della donna". Una circostanza molto triste, lasciatemelo dire: se per celebrare la donna con una festicciola una tantum nel corso dei 365 giorni dell'anno dobbiamo inventarci una vera e propria favoletta strappalacrime, allora vuol dire che le signore e signorine hanno un ruolo ed un'incidenza davvero ininfluenti nell'odierna società, dato che sembra non possano essere elogiate puntando su altre doti o qualità. Uno smacco incredibile nel secolo del femminismo esasperato, dove si parla continuamente di "quote rosa", "parificazione dei diritti tra uomini e donne", "donne con ruoli dirigenziali" ecc.
Mi chiedo: ma perché rendere omaggio a delle donne mai esistite? Possibile che non vi siano donne degne di essere ricordate e di essere d'esempio per le generazioni future?
Sì che ci sono state, almeno in Italia. Mi riferisco alle donne del Servizio Ausiliario Femminile, istituito il 18 aprile 1944 nella Repubblica Sociale Italiana. Si trattava di un corpo militare formato di sole donne, tutte volontarie, con compiti di supporto all'azione bellica. Furono circa 6.000 le ragazze che scelsero di reagire all'infamia del tradimento badogliano e di sfidare la morte per salvare l'onore d'Italia. Si ribellarono; non vollero far nascere e crescere i loro figli in un Paese macchiato dal marchio della viltà e della vigliaccheria.  Allora, abbandonarono la casa, gli affetti, i libri, i lavori domestici e scelsero di partire per il fronte, fianco a fianco con gli uomini. Improvvisamente, dopo un toccante articolo di Pettinato su "La Stampa", in cui si chiamavano a raccolta le donne d'Italia[1], iniziarono a radunarsi spontaneamente centinaia di ragazze, tutte con la stessa richiesta e lo stesso desiderio: essere arruolate nell'esercito della Repubblica Sociale. Aderirono volontariamente alla X MAS, alla MUTI e alle Brigate Nere, dimostrando di non temere la morte, gli americani, gli inglesi, i partigiani. Vennero addestrate in maniera dura, quasi come spartane. Il loro aspetto non doveva ricordare quello della donna: “Niente rossetti; niente donne fatali; niente amori conturbanti; ma sorelle buone del soldato, ma utili donne della terra d'Italia, che se deve essere riscattata dal sangue degli uomini, deve essere vivificata dalla virtù delle donne[2]. Combatterono, sulla linea Gotica, contro i partigiani nel nord-est, a Firenze lungo le rive dell’Arno, come franchi tiratori. Aiutarono negli ospedali e negli uffici. Prestarono servizio nelle mense. Disse l’ausiliaria Maria Pavignano: “Ho visto le mie compagne dappertutto. Sulle strade, che aspettavano i mezzi di fortuna per partire. Sui treni. Negli ospedali militari, chine su chi moriva. Sorelle e madri. Alle mense militari, dove portano la lieta grazia della loro femminilità; nelle cucine dove la mano femminile è indubbiamente preziosa, nelle sartorie militari, nelle lavanderie, dappertutto[3]. Daranno manforte fino all’ultimo. Molte di loro non torneranno a casa. Finiranno spesso in mano ai vincitori, che ne faranno scempio. Saranno “oggetto di svariati atti di tragico scherno e vittime di omicidi, violenze, stupri e ritorsioni sulle famiglie[4]. Come a Graglia, nei pressi di Biella, ove nel massacro omonimo furono uccise in modo bestiale, oltre a 24 ufficiali del R.A.U. e del R.A.P., 5 ausiliarie, più la moglie incinta di uno degli ufficiali. Come "Jole Genesi stenodattilografa della Brigata Nera "Augusto Cristina" di Novara e come Lidia Rovilda, assegnata alla GNR della stessa città, cui toccò una fine allucinante. Catturate alla Stazione Centrale di Milano il primo maggio, furono condotte all'albergo "San Carlo" di Arona, torturate tutta la notte con degli spilloni conficcati nella carne, poi legate assieme con un filo di ferro e finite con un colpo alla nuca. Non avevano voluto rivelare dove era nascosta la comandante provinciale di Novara". Come, "Marcella Batacchi, fiorentina, e Jolanda Spitz, trentina, che erano state assegnate al distretto militare di Cuneo. Il 30 aprile, la colonna in fuga della quale facevano parte, con sette loro compagne, si arrese ai partigiani a Biella. Per salvarsi, le sette ragazze dichiararono di essere prostitute che avevano lasciato la casa di tolleranza di Cuneo per seguire i soldati. Marcella e Jolanda, che rifiutarono il compromesso e si dichiararono ausiliarie, furono violentate e massacrate di botte, poi fucilate e sepolte in una stessa fossa, l'una sull'altra.
Quando i genitori, mesi dopo, poterono esumarle, trovarono due visi tumefatti e sfigurati, ma i corpi bianchi e intatti. Avevano entrambe 18 anni
[5].

Insomma, storie tragiche e drammatiche, che hanno visto come protagoniste donne con la “d” maiuscola; donne degne di tal nome, distanti anni luce dall’insulsa ed umiliante etichetta femminista di oggi, che le vorrebbe estasiate da un mazzetto di mimose, da una cena con le amiche e da uno spogliarello maschile. Donne capaci di combattere per il loro futuro, per quello dei loro affetti, dei loro figli e della Patria; donne capaci di sfidare la morte, di difendere l’onore; donne che, con le loro gesta, rappresentano un esempio di tenacia, emancipazione e senso del dovere, che sono il simbolo di uno slancio vitale più forte persino della morte stessa. Donne che, purtroppo, abbiamo dimenticato, condannandole all’oblio. Proprio per questo motivo, oggi il mio pensiero va a loro: a loro che furono“donne fino in fondo, madri del futuro”. Auguri!

LETTERE DELLE CONDANNATE (fonte)

Ausiliaria scelta LIDIA FRAGIACOMO 33 anni, nata a Trieste, fucilata a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 dai partigiani comunisti della 105a brigata "Garibaldi" assieme ad altre quattro commilitone dopo aver perorato la salvezza della sua comandante, facendosi passare, mentendo, per la più alta in grado. Senza una famiglia sua, l'ultima lettera è indirizzata alla signora Giovanna Albanese, di Torino, presso la quale era stata per molti anni a servizio, prima di arruolarsi nel SAF.

Carissima signora Giovanna,
quando riceverete questa mia, io sarò nel mondo dei più, in un mondo più buono; forse avremo finito di soffrire. Sono felice di dare la mia vita per l'Italia, per questo nostro ideale. Forse, il mio sangue non sarà inutile: mi hanno promesso di salvare la mia Comandante e ciò mi fa estremamente felice. Il mio desiderio terreno è solamente uno: che l'Italia possa ritornare una, libera e grande. Non mi spiace morire, perché so che in questo mondo vi sono soltanto brutture e nell'altro troveremo giustizia, almeno così spero. Siate forte e fiera nel dolore. Io se avrò la fortuna di andare in Paradiso pregherò per la nostra Italia. Baciatemi forte Marinuccio, la zia e la contessina. Al maggiore i miei più cari saluti. Anche a Crac un bacio. Come vedete, sono tranquilla, Un bacio forte a Voi, Viva l'Italia
Ausiliaria scelta Fragiacomo Lidia.



Ausiliaria scelta LAURA GIOLO, 25 anni di Torino, fucilata a Nichelino (TO) assieme a Lidia Fragiacomo, il 30 aprile 1945. In servizio a Milano, si trovava nella sua città in licenza. Fu catturata per aver espresso indignazione di fronte alla scena selvaggia del linciaggio di un fascista.

Cari tutti, sono gli ultimi istanti della mia vita. E' già uscita la sentenza. Non posso chiedervi che una cosa: perdonatemi. Spesso, sempre forse, non ci siamo compresi e questa incomprensione mi costa la vita. Forse me la sono anche voluta. Non lo so. Io muoio innocente. So di non aver sparso sangue; questo mi tranquillizza in questi ultimi istanti. Papà, a te perdono vivissimo; so quante lacrime e affanni ti costo, ma non mi hai voluta capire. Mamma mia, coraggio, coraggio ! Hai altri figli: pensa a loro. Mimmi mia buona, addio. Lia, tesoro mio, gioia mia, ciao per sempre. Dio mi assisterà. Veglierò su di te. Infiniti auguri al mio Benito caro. Salutatemi Ruggero, non inimicatevi con lui. Non è cattivo. E quando il mio povero amato Carlo tornerà dalla prigionia, dategli la mia catenina d'oro. Gli appartiene. Consolatelo. Siate forti, tutti: ve lo chiedo io che dalla vita non attendo più nulla. Perdonate a tutti. Anche voi. Ve lo comando. Un bacio a tutti.
Laura



Ausiliaria MARGHERITA AUDISIO, 20 anni di Torino, fucilata a Nichelino (TO) il 26 aprile 1945. La sua ultima lettera è inviata alla madre, anch'essa ausiliaria della RSI. I comunisti le consentirono di scrivere l'ultima lettera anche alla sorella. La famiglia apprese così che la ragazza era morta serena solo perché aveva ottenuto di essere fucilata al petto, come un soldato.

Carissima Luciana, fra pochi minuti sarò fucilata. una consolazione devo darti: fucilazione al petto e non alla schiena. Raggiungo papà in paradiso, perché mi sono confessata e comunicata, e con lui vi proteggerò tutti. Tu sai che sono sempre stata una pura della mia fede: in essa ho sempre creduto, credo ancora e per essa sono contenta di morire. Consola la mamma. Perdono a tutti. Viva l'Italia! Ti bacio. Tua sorella".

Cara Mamma, io vivo per la Patria e per la Patria saprò morire. Tutti i pensieri, le passioni di adolescente, di giovane ventenne, non mi hanno fatto volgere gli occhi dall'orizzonte ove è la mia Patria. Madre delle mie carni, mi comprendi? Quindi, non piangerai, madre mia. Tu che nel mondo seminasti lacrime, non piangerai. Questo per me è l'unico tormento, l'unico dubbio che lascio qui in terra. L'altra mia angoscia, per la Madre grande, si placherà con la morte. E' la mia sorte. Ma una cosa voglio ancora dire. Patria mia, il nostro sacrificio non sarà vano. Ritornerai ancora unita, grande, bella. E Iddio dall'alto ti proteggerà, mentre i Morti ti guideranno. Italia credo sempre in te: risorgerai! Sorelle mie di fede, questo è il mio credo.





[1] “….un battaglione di donne ? E perché no ? Il governo americano che alle donne il fucile non lo dà, ma che si serve di loro per attirare a sé le reclute, popolandone le vicinanze dei distretti ….. si è impegnato a gettare in pasto le nostre figlie e le nostre sorelle alla sconcia foia dei suoi soldati d’ogni pelle. Ebbene: perché non mandarle loro incontro con dei buoni caricatori e un buon fucile? […]Non esistono più interni di case, non esistono più porte. Siamo tutti in piazza, a cielo scoperto, allo sbaraglio da quando mariti, figli, amanti, fratelli hanno buttato l’arma e sono venuti a nascondersi sotto le vostre sottane o sotto quelle dei Preti… salite in soffitta, staccate il fucile dal chiodo, spingete il vostro uomo là dove batte il cuore della Patria”
[2] Luigi Ganapini, “La Repubblica delle Camicie Nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori”, Collezione storica Garzanti, Milano 1999.
[3] http://avanguardia.altervista.org/donne_di_salo.htm
[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Servizio_Ausiliario_Femminile
[5] http://www.bertapiero.it/garibaldi/RSI/ausiliarie.htm

martedì 6 marzo 2012

E SE IL NOSTRO FUTURO FOSSE EURASIATICO?

E' da un po' che cerco di familiarizzare questo termine: EURASIA. L'ho sentito molte volte e ci ragiono sopra da qualche tempo o, almeno, ci provo. E' un'espressione con una portata vasta, praticamente sconfinata, come il territorio che descrive: una porzione di mondo bagnata da ben tre oceani, che ospita migliaia di etnie diverse, ciascuna con la propria lingua, la propria cultura, la propria religione e le proprie tradizioni. Una circostanza questa che ti porta a chiederti: ma è davvero possibile vedere una forma di ordine, di armonia e di coesistenza in questo universo ?

La prima risposta è un secco "no". Se c'è una cosa che la storia dell'umanità ha insegnato è che le convivenze tra popoli assai diversi hanno breve vita e, talvolta, danno luogo allo scontro violento. Basterebbe prendere in considerazione per un attimo le guerre etniche che sconvolgono ancora oggi l'Africa, o la questione israeliano-palestinese, oppure i conflitti nei balcani. Pagine di storia che lanciano un chiaro monito: ciascun popolo ha bisogno di uno spazio di vita autonomo, lontano da interferenze e condizionamenti stranieri; ciascuna etnia è un universo a sé.
Questo è ciò che dovrebbe avvenire in condizioni "normali".

Tuttavia, la situazione globale odierna è ben lontana dall'essere "normale". Da tempo cerco di avvertire dei pericoli che derivano dal capitalismo sfrenato, vera e propria arma di assoggettamento dei popoli, manovrata sapientemente e diabolicamente da un manipolo di pochi illuminati. Ed è proprio per contrastare questo pericolo imminente che pensavo a quel termine, a quella parola: EURASIA. Potrebbe essere proprio l'unione dell'anima europea e di quella asiatica ad accendere la scintilla della rivolta contro la dittatura finanziaria, contro l'impero economico voluto e creato dagli usurai. Ovviamente, mi riferisco all'anima nobile e antica dell'Europa, (di cui ho scritto più volte), e dell'Asia. Riguardo quest'ultima, alludo, ovviamente, ai monasteri buddhisti tibetani,ai templi induisti e shintoisti, ai piccoli villaggi sulle alture cinesi o mongole , così come alle tribù sparse nella Siberia, in cui la gente vive secondo regole antiche, scandite dalle tradizioni e dal ritmo delle stagioni; non certo alla Shangai, alla Tokio o alla Singapore contaminate dalla frenesia moderna, dalle sete di facili, ingiusti e spropositati guadagni e dal delirio materialista.
Potrebbe essere, insomma, proprio schierando sul campo di battaglia questa comune volontà di resistere alla tirannide del mercato e della finanza, nonché alla minaccia delle "missioni di pace", la scintilla per il cambiamento, l'inizio della rivolta contro questo mondo moderno, voluto dalla cloaca massonico-finanziaria; l'intento di dar vita ad un mondo più equo, rispettoso dell'uomo e della natura, costituirebbe il motivo per cui farlo; la valorizzazione delle nostre tradizioni, la scelta di un diverso tipo di economia e di un modo differente di vivere, sarebbero le armi con cui combattere questa santa guerra.
E se volessimo, infine, trovare un simbolo per questa nuova fase della storia presente e futura, costui potrebbe essere Aleksandr Solženicyn: un giovane russo che con la sua voce ha fatto conoscere al mondo intero la barbarie stalinista; un premio nobel che ha condannato davanti a tutti il diabolico "materialismo d'occidente"; un uomo che, seppur conosciuto in ogni angolo del pianeta, scelse di vivere il resto della sua vita nella solitudine e nella meraviglia dei boschi della Russia in cui era nato.
Chissà che mondo sarebbe quello in cui il logos di Platone e le giuste leggi di Giustiniano  incontrano gli insegnamenti del Buddha e i principi del confucianesimo nei verdeggianti boschi della Russia di Solženicyn?

Roberto Marzola.

venerdì 2 marzo 2012

PESSIME NOTIZIE: L'ITALIA HA FIRMATO IL PATTO FISCALE.

Un pessimo affare: solo così si può definire la firma del patto fiscale da parte dell'Italia, per mano del premier Mario Monti. Un altro "sì" incodizionato alla Germania della signora Merkel, una nuova iron-lady, che, a furia di ricatti e di mostrare i denti, sta riuscendo a piegare ai suoi voleri l'intera Europa. Cosa prevede questo patto? E' un po' complicato. Ve la faccio breve, rimandandovi a questo sito per gli approfondimenti: in pratica, dopo le ratifiche necessarie per attuare le clausole, i governi degli Stati membri avranno un anno di tempo per mettersi in regola con i bilanci, costi quel che costi. Se si violano le prescrizioni dettate dallo stesso patto, sono previste sanzioni semiautomatiche, con tanto di multe che la Corte di (in)giustizia europea dovrà irrogare ai "non virtuosi".  Detta in altre parole: il bilancio degli Stati non sarà più determinato e controllato dai vari Ministeri del Tesoro e dalle banche centrali; tali competenze passeranno alla Banca Centrale Europea e alla Corte di (in)giustizia, che saranno libere di giudicare e di applicare le sanzioni che riterranno più opportune. Sì, avete capito bene: non ci sarà più alcuna differenza tra Stati furbetti e Stati in difficoltà; chiunque violerà le regole, (vuoi per intenti truffaldini, vuoi per oggettiva impossibilità di rispettare il patto), incorrerà in sanzioni economiche. Danno che si aggiunge al danno.
Non è tutto: alle sanzioni economiche, infatti, si aggiunge un vero e proprio ricatto, rappresentato dall'obbligo del pareggio di bilancio per poter accedere al "Fondo Salva Stati". In pratica, gli Stati dovranno risolvere da soli le proprie magagne e poi, eventualmente, potranno rivolgersi a "mamma U.E." per avere una iniezione di liquidità, buona soltanto per tenersi a galla in situazioni di momentanea difficoltà. Soldi che, ovviamente, dovranno essere restituiti dietro interesse.

Che ve ne pare? Io non vorrei essere menagramo, ma secondo me ci aspettano tempi bui. Sono quasi convinto che i sacrifici che abbiamo dovuto affrontare fino ad ora siano poca cosa, se confrontati a quelli che ci aspetteranno in futuro. Pensate davvero che la crisi sia finita qui, solo perché lo spread è sotto controllo o, almeno, così dicono? Credete sul serio che i banchieri della B.C.E. e i magistrati della Corte di (in)giustizia siano lì per fare il bene degli Stati membri? Se le cose stanno così, svegliatevi, perché state vivendo un bel sogno; in caso contrario, cominciate a ribellarvi, a tirare su le maniche della camicia per cercare una via d'uscita a questa tragedia annunciata. Subire tutto ciò per complesso di impotenza, (cementato da considerazioni del tipo: "sì, ma che possiamo fare noi?"), è un proposito suicida. Bisogna reagire, fare la voce grossa, chiedendo, giusto per cominciare, un nuovo governo eletto dal popolo e l'uscita immediata dall'Unione Europea.
La domanda, a questo punto, è: riusciremo a capirlo prima che sia troppo tardi?

Roberto Marzola.