BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


lunedì 30 aprile 2012

CUCCIOLI LIBERATI: LA LEGGE INDIETREGGI DAVANTI AL BUON SENSO



Come avrete di certo capito, sono piuttosto sensibile riguardo la causa animalista, nonché assolutamente contrario alla vivisezione e a qualsiasi altra pratica che infligga inutili sofferenze agli animali. Li ritengo esseri pienamente sensenzienti, dotati di un'anima e in grado di provare sentimenti così profondi da provocare autentica commozione ed ammirazione in chi abbia la fortuna di vivere a stretto contatto con loro.

Partendo da simili premesse, non posso che dirmi contrario all'esistenza di una struttura come Green Hill sul territorio italiano. Parimenti, non posso che essere dalla parte di quelle persone che hanno fatto irruzione entro il perimetro del canile-lager per liberare alcuni cuccioli di beagle, finendo per ritrovarsi in stato di fermo con accuse gravi sul piano penale: furto, rapina, resistenza a pubblico ufficiale, violazione di proprietà privata e danneggiamento.

D'accordo, in termini strettamente legali le violazioni ci stanno tutte e la legge penale è chiara: presa notizia di un fatto da reato, il Pubblico Ministero competente ha l'obbligo di esercitare l'azione penale, mettendo in moto la macchina delle indagini e quella processuale. Il punto, però, non è questo; il punto è che qui siamo davanti a superiori leggi morali, che attengono alla stessa natura umana, al concetto di "pietas" umana, e che impongono di non rispettare una legge terrena quando questa contrasti con quegli stessi principi morali. Allora trasgredirla non è più un reato, ma addirittura un obbligo. Quello stesso obbligo percepito da Antigone, allorché sfidò il divieto imposto dal re Creonte pur di dare una sepoltura al fratello Polinice. 
In nome di questi principi e di questo insegnamento agiscano i magistrati e la politica. A loro vorrei rivolgere il mio accorato appello: adoperatevi affinché la vivisezione sia dichiarata illegale, almeno in Italia, dato che i tempi sembrano essere ormai maturi. Il giudice adito, quindi, si rifiuti di condannare i fermati, adducendo l'esistenza di una causa di giustificazione, quale potrebbe essere la l. 281/1991, che stabilisce il principio generale secondo cui "lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali d’affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente". La politica, dal canto suo, si metta in moto per portare in parlamento una legge che finalmente dichiari illegale la vivisezione e tutte le altre violenze sugli animali perpetrate a scopi (pseudo) scientifici, dato che grazie a Dio esistono tecniche di sperimentazione che non vanno ad affliggere ed umiliare degli animali indifesi, (le culture di cellule e di tessuti umani, i microorganismi, i modelli matematici computerizzati, i sistemi artificiali in vitro ecc.).

Sarebbe un'occasione per dimostrare agli italiani che la politica è ancora in grado di farsi carico di una sensibilità comune e di combattere una battaglia puremente ideale, invece di servire interessi settari e meramente economici; un modo per smentire l'assunto, purtroppo sempre più diffuso e compravato, secondo cui lo Stato italiano è debole con i forti e forte con i deboli. Ma sarebbe anche un vero passo in avanti verso un mondo più giusto, più umano e meno tecnocratico; un mondo in cui l'uomo e la scienza aiutano, tutelano e rispettano le altre creature, anziché aggredirle e sfruttarle. D'accordo, sarebbe un mondo ideale e ancora lontano dal divenire cosa concreta; ma non mi sembra un buon modo per torturare chi ha la sola colpa di essere nato dolce e mansueto, come quei poveri cani. Aiutiamoli!

Roberto Marzola.





sabato 28 aprile 2012

28 APRILE: IN MEMORIA DI BENITO MUSSOLINI

Se ne dicono tante sul conto di Benito Mussolini, e spesso a sproposito. Per me è stato sul serio il più grande statista che l'Italia abbia mai avuto. Non ho paura di dirlo, né mi rimangerò queste parole, come qualcuno ha già fatto in passato. Lo ritengo l'unica vera guida, politica e spirituale, degna di essere nominata negli ultimi due secoli di storia italiana. E chi altri potrebbe esserlo? Chi altri ha fatto ciò che ha fatto lui, nel bene e nel male? Forse è per questo che in tanti ne parlano male e ne hanno paura ancora oggi. Perché Mussolini è stato un grande, il più grande di tutti, ed i grandi fanno sempre paura, specie ai deboli di spirito.
Primo tra tutti per spessore umano; una personalità di quelle magnetiche, in grado di affascinare tutti i grandi della terra, persino i suoi oppositori e nemici giurati: da Churchill a Stalin, da Roosvelt a De Gaulle, tutti hanno speso parole d'elogio su di lui.
Primo tra tutti per capacità politica. Nessun altro avrebbe mai potuto fare ciò che ha fatto lui in quel periodo, ossia prendere in mano le sorti di un Paese deluso da una guerra più persa che vinta, dilaniato da tensioni sociali, affamato dalla crisi economica, svuotato dal tracollo dei valori. Sotto la sua guida, nello spazio di pochissimi anni, quel Paese è diventato una terra baciata da Dio, ricompattata nello spirito e nel corpo sociale, proiettata verso il futuro a suon di avveneristiche riforme e di battaglie del popolo e per il popolo. Con lui, addirittura, l'Italia ha goduto di un prestigio senza pari all'estero, riuscendo a divenire parte attiva di alcune delle più importanti decisioni internazionali del periodo. "Il Duce ha salvato la pace": ecco cosa scrivevano i giornali dell'epoca.
Primo tra tutti anche nell'eloquio impareggiabile. Non l'ho davvero mai visto parlare con un foglietto o con un appunto in mano; eppure aveva un pubblico di migliaia di persone, che si riversavano nelle piazze proprio come un fiume in piena scende verso valle dopo le abbondanti piogge primaverili, con lo stesso impeto e lo stesso entusiasmo. E forse questa era la sua più grande dote: saper parlare direttamente al cuore degli italiani; di tutti gli italiani. In loro ha saputo riaccendere sogni e speranze; ad ognuno di loro ha suggerito l'aspettativa e, al tempo stesso, la certezza di un domani migliore.
Primo tra tutti, infine, per la capacità di immaginare proprio un domani migliore, fatto di pace e giustizia sociale, senza più tensioni, senza più povertà, senza più lotte di classe o scontri tra fratelli. Nessuno come lui è stato così sognatore e, al contempo, così lucidamente folle da immaginare un futuro del genere.

Pertanto oggi, nell'anniversario della sua morte, il mio pensiero va a "quell'uomo che più di chiunque altro ha amato la sua Patria; a quell'uomo che, sebbene avesse ricoperto l'Italia di quel prestigio tipico dell'età romana, fu barbaramente e vigliaccamente ucciso, e poi esposto alla bestialità di una folla eccitata dalla crudeltà della guerra; a quell'uomo che ridonò all'Italia onore e gloria e che si impegnò perché l'Italia crescesse su solide basi, quali Dio, Patria e Famiglia". Per tutto questo la storia gli "darà ragione", come proprio lui soleva ripetere. Io ne sono più che convinto.
Grazie Duce! Riposa in pace e veglia su questo martoriato Paese, soprattutto ora che il cielo è buio e la strada sembra smarrita.

A noi!

Roberto Marzola.

venerdì 27 aprile 2012

GIOVANI E SOTTOPAGATI: I LAVORATORI DELLA FORNERO

La maestrina ha parlato. Elsa Fornero torna a farci il predicozzo sulla riforma del lavoro. In sostanza dice: "fate lavorare il Governo e poi, vedrete, sarà un mondo più giusto, più libero, più bello!".
Sarà che sono prevenuto, sarà la solita e triste manfrina sull'art. 18, sarà perché l'ha detto "sua lacrimosità", ma io non credo a mezza parola. Anzi, vi dirò di più: mi preoccupo! Già, perché ad essere preoccupanti sono le premesse logiche su cui poggiano i 69 articoli varati dal governo Monti.

Innazitutto, la copertura finanziaria. Per sostenere il suo progetto, la Fornero & co. hanno pensato ad una vera e propria stangata sugli affitti per quei proprietari che non applicano la cedolare. Per questi, di fatto, vi sarà un aumento pari al 10% della base imponibile. Seguono aumenti sui biglietti aerei e tagli alle deduzioni sulle auto aziendali, sulle assicurazioni ecc.

Vi è poi il problema dei licenziamenti. A tal proposito, se è vero quanto sostenuto da Monti, ossia che un'azienda non può fallire per mantenere tutti i propri dipendenti, è altrettanto vero che la riforma mette nelle mani del datore di lavoro uno strumento potente per liberarsi del proprio dipendente, svincolando persino il giudice dalla necessità di reintegrarlo, salvo il caso, (che appare alquanto difficile da provare), dell'abuso del licenziamento per motivi economici.

Desta, infine, molta preoccupazione la cd. "flessibilità in entrata". Non vorrei dirlo troppo forte, ma temo che i contratti costeranno molto di più per le imprese. Così come temo che il voler "valorizzare l'apprendistato per favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro", (così recita il primo articolo del ddl), sia solo un modo, tanto raffinato quanto subdolo, per dire che, in fondo, si vuole creare soltanto una massa di giovani, disperati dall'assenza di lavoro, da arruolare alla bisogna, con doveri sempri più gravosi e diritti sempre più tenui.

Come andrà a finire? Non lo so. Purtroppo non ho la palla di vetro. So solo che sono ben 1048 gli emendamenti previsti al progetto di legge sul lavoro. Il che, a mio modesto parere, significa una cosa soltanto: Monti chiederà la fiducia. C'è da scommettere che i partiti politici, pur di non esporsi in un momento di obiettiva difficoltà, voteranno per l'ennesima volta la fiducia a questo esecutivo. E sarà una nuova disgrazia, un nuovo aggravamento della situazione per noi poveri Cristi, consumato con il benestare del Parlamento, nella connivenza e reticenza della politica italiana. Cosa gliene frega a loro dei nostri dubbi e delle nostre paure? Hanno già ricevuto l'applauso dall'Unione Europea e a loro basta quello. Cosa aspetteremo a dare il benservito a certi signori non lo so proprio. E, ormai, smetto pure di chiedermelo. Non ha davvero più senso.

Roberto Marzola.

lunedì 23 aprile 2012

"GLI EROI SONO TUTTI GIOVANI E BELLI"

Con l'approssimarsi del 25 aprile il popolo italiano torna a dividersi. L'ho scritto: se lo spirito e la vocazione di una festa nazionale sono quelli di unire, allora certe feste, (il 25 aprile, il 1 maggio ed il 2 giugno), andrebbero cancellate, perché hanno un significato schiettamente di parte. Risultato: ci scappa sempre la polemica!

A mio modo di vedere, però, è quanto meno paradossale che in questo caso la polemica venga più da "sinistra" che da "destra". D'accordo, da parte di quest'ultima ci sono state affissioni sui i muri delle città, richieste di contraddittorio alle conferenze pubbliche, trattazioni a tema e quant'altro; ma i toni sono aspri e livorosi principalmente dalla parte opposta della barricata. Basta leggere le reazioni indignate e violente dei partigiani di oggi e di ieri. "Sono solo provocazioni fasciste" , "sono insulti alla resistenza", "sono offese alla democrazia e alla libertà" e baggianate simili.

Ma quali insulti? Ma quali provocazioni? Mi sa che i signori non hanno capito l'atteggiamento mio e di tanti altri che la pensano come me. Allora, forse, sarà il caso di chiarire.

Da queste parti ci rifiutiamo di celebrare una guerra che l'Italia ha perso. Non vogliamo osannare una guerra civile, che in alcune parti d'Italia ha avuto strascichi anche dopo la fine della guerra. Non ci sentiamo figli di un clima d'odio politico e di un modo infame, vigliacco e persino illecito di combattere, che ha causato decine di migliaia di morti, spesso civili innocenti, (e qui l'elenco sarebbe piuttosto lungo!). Non ci riconosciamo in una data che ha privato il nostro Paese della sovranità nazionale, esponendolo ieri ai venti provenienti dall'Atlantico o dagli Urali ed affogandolo oggi nella cloaca europeista.
Vogliamo semplicemente dire a tutti come sono andate le cose, ossia in un modo molto meno onorevole e  romanzato di quanto tradizionalmente si racconta. Ci piacerebbe poter credere ancora in quei valori di Patria, di Identità, di Onore e di senso del Dovere, che con il 25 aprile sono stati esiliati dal Belpaese ed umiliati. Desideriamo essere idealmente vicini ed onorare la memoria di quei ragazzi, di quelle ragazze, di quegli uomini e di quelle donne che, nella maggior parte dei casi, si sono arruolati volontariamente nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, sapendo di andare incontro a morte certa,  per rispetto alla parola data, per difendere l'Idea, per tenere alto il prestigio dell'Italia. Quei ragazzi che, come scrisse in dialetto romano Mario Castellacci, si dissero "Repubblicani e no Repubblichini" e si "davano coraggio e sentimento con l'ombre d'Orazio ar Ponte e de Mazzini"; che erano "Camerati ossia fratelli d'Itaja, ognuno in fila su la traccia de sù padre, e der padre de su' padre"; che rinnegavano "le gentacce ladre, i Maramaldi, i vili, i vortafaccia, li cacasotto e i servi dei bordelli"; e che pensavano: "La guerra è persa? E' disparo er confronto? E' finita? Nun vojo sapè gnente. Me 'nteressa l'onore solamente. E si me tocca da morì, so pronto".
Quegli uomini e quei ragazzi noi li consideriamo eroi, per il loro spirito e per la loro capacità di saper difendere le loro scelte anche a prezzo della propria vita. Ci riconosciamo in loro e, al tempo stesso, vorremmo essere all'altezza delle loro gesta e dei loro sogni. Sogni che non sono morti e non moriranno mai, finché riusciremo a tenere in vita la loro memoria, finché verrà tenuto presente l'esempio, finché ci sarà una "corrispondenza d'amorosi sensi".
Continuate pure ad aggredirci e ad attaccarci; tanto lo fate da decenni... Ma non aspettatevi di fiaccarci nel nostro intento, né di farci cambiare idea. Qui non si parla solo di storia; si parla di rispetto, di fedeltà e di onore. Parole che, forse, a voi suoneranno strane. Ma che a noi suonano molto meno strane della vostra fantomatica "demokrazia" e della vostra inesistente libertà di non si sa cosa e da non si sa cosa.

Buon 25 aprile!

Roberto Marzola.

giovedì 19 aprile 2012

BASTA CON QUESTA FREGNACCIA DELL'EVASIONE!

In Italia ormai sta passando per vera una fesseria di proporzioni gigantesche: la lotta all'evasione fiscale è il male assoluto. L'assunto è semplice e si può riassumere in questi termini: se tutti pagassimo quanto ci spetta, vivremmo in un ventre di vacca, immersi negli agi e nella prosperità. Stanno provando a ficcarcelo in testa in ogni maniera. Hanno iniziato con la pubblicità sulla RAI , ("chi vive a spese degli altri danneggia tutti. Battere l'evasione fiscale è tuo interesse"); dopodiché sono iniziati i controlli a tappetto delle Fiamme Gialle, (Cortina, Capri ecc.). Come se non bastasse, Napolitano ha rincarato la dose, affermando che "gli evasori fiscali sono indegni di essere italiani". Pure la Gabanelli, con il suo sinistrissimo "Report", ha contribuito alla causa anti-evasione, proponendo di abolire il denaro contante, limitando il prelievo mensile ai 150 €, con una tassa del 33% per ogni prelievo di moneta ulteriore.

Pura mendacità, folle ipocrisia di Stato! Ora, io non sono un esperto di economia o di finanza, ma ci vuole poco a capire che un Paese in cui tutti pagano le imposte è un Paese molto più caro e, di conseguenza, molto più povero. Facciamo un esempio: se io chiamo un muratore per un lavoro a casa mia e pattuisco un pagamento di 1000 € di cui 200 in nero, (quindi 800 dichiarate), il muratore guadagna 200 € nette, mentre io risparmio i 210 € che avrei dovuto versare al Fisco. Quei soldi sottratti all'evasione non finiranno in chissà quale paradiso fiscale, come vorrebbero farci credere, ma saranno spesi al supermercato, dal barbiere, dal giornalaio, dal fruttivendolo o dal macellaio, alimentando tutto quel sistema micro-economico dei consumi che ancora regge in piedi l'Italia. Se fossero regolarmente versati, invece, finerebbero nell'enorme buco nero delle finanze dello Stato, tra sperperi, rimborsi ai partiti, contributi ai giornali, stipendi dei politici ecc. Altro che pensioni e prestazioni sanitarie!

Signori miei, apriamo gli occhi: il problema dell'Italia è proprio la pressione fiscale. Il debito pubblico non è causato dall'evasione, ma dal fenomeno del signoraggio. La lotta all'evasione non potrà mai estinguerlo, come vorrebbero obbligarci a credere con i loro conti della serva, ma causa un ulteriore blocco della crescita, un rallentamento dei consumi e un impoverimento generale. Stesso discorso vale anche per la patrimoniale secca al 4% , (provvedimento di indole comunista, perché colpirebbe i risparmiatori), e per l'abolizione del contante, (proposta neo-imperialista, giacché sarebbe l'ennesimo favore alle banche, che guadagnerebbero sulle commissioni dovute al maggior uso di bancomat e carte di credito). Basta guardare all'inasprimento delle tasse voluto dal governo Monti per rendersi conto di queste mie parole. I risultati sono sotto gli occhi di tutti...

Iniziamo ad aprirli, allora, questi occhietti e ad informarci, per capire finalmente quale sia il vero male, (il signoraggio bancario), e quale sia la cura, (nazionalizzazione delle banche e proprietà pubblica della moneta). La soluzione è davvero tutta qui. Non serve una super-polizia fiscale, che controlli pure quanti soldi regalate a vostro nipote e o se comprate l'insalata evadendo l'IVA; serve un nuovo sistema bancario, l'espulsione dell'interesse privato dal circolo di produzione e scambio della moneta. E' lì a portata di mano la soluzione. Basta prenderla!

Roberto Marzola.

mercoledì 18 aprile 2012

FONDO DI SOLIDARIETA' PER GLI IMPRENDITORI

L'avevo scritto tempo fa: la crisi uccide. Dopo quattro mesi da quel mio articolo, (che non faceva altro che porre l'attenzione sulla lezione di Pound e di Auriti sul suicidio da insolvenza), i media italiani si sono accorti dei suicidi tra gli imprenditori, gli artigiani e i lavoratori. Adesso parlano (quasi) tutti di "allarme sociale". Se uno volesse polemizzare, potrebbe dire: ve ne accorgete soltanto ora? Dove eravate quando si paventava un'ondata di atti di disperazione? A cosa pensavate quando si diceva all'opinione pubblica: "gli italiani si troveranno presto ad un bivio: o pagare i debiti o uccidersi per l'insolvenza" ?
Lasciamo perdere le polemiche anche stavolta, giacché portano sempre pochi frutti. Pensiamo a come poter salvare la vita a tanti poveracci che, non riuscendo più ad onorare i debiti assunti, arrivano a gettare la propria vita alle ortiche.
La soluzione primaria, ovviamente, sarebbe quella di una riforma massiccia del sistema bancario e delle agenzie di recupero crediti, Equitalia in primis. Meno tassi di interesse, maggior accesso ai finanziamenti, più comprensione al momento del mancato pagamento e via discorrendo. Ritengo, però, questa ipotesi un traguardo purtroppo ancora lontano; la meta di un percorso politico, economico e sociale che ancora deve iniziare, non perché manchi la consapevolezza dello strozzinaggio legalizzato, (che per fortuna cresce sempre di più!), ma perché ancora stenta ad emergere la volontà di cambiare questo stato di cose.
Ecco, dunque, che a mio avviso si profila la necessità di prendere dei provvedimenti temporanei, in grado di avere efficacia già nell'immediato. La mia proposta è semplice e facile da realizzare: perché non costituire un fondo di solidarietà per gli imprenditori in difficoltà? Qualcosa del genere mi pare che stia già nascendo nel Veneto... Ad ogni modo, si tratterebbe di un capitale pubblico di pronta liquidità, da destinare a quegli imprenditori o artigiani che si siano visti rifiutare la concessione di denaro, (magari di poche migliaia di euro), da parte delle banche e che non sanno a chi altri rivolgersi. Si potrebbe pensare ad un tasso di interesse bassissimo -giusto per assicurare un minimo di autosostentamento al fondo stesso- da corrispondere non proprio nell'immediato futuro. Questo fondo potrebbe essere istituito dallo Stato,( magari con parte dei ricavati dalla nuova ondata fiscale o dalla lotta all'evasione),  e poi gestito da organizzazioni degli stessi imprenditori o artigiani, secondo regole di trasparenza, correttezza e mutualità.
I vantaggi sarebbero enormi: innanzitutto, ci si potrebbe aspettare un calo dei suicidi da insolvenza. In secondo luogo, si aiuterebbero tante piccole attività, rendendole nuovamente capaci di reggersi in piedi sul mercato e di mantenere occupati i propri dipendenti, in attesa di tempi migliori. Detta volgarmente: sarebbero i proverbiali due piccioni, presi con la classica fava.

A me, francamente, pare una soluzione di buon senso, molto facile da realizzare e, al tempo stesso, di grande efficacia. Perché, dunque, non ci si adopera in tal senso? Vuoi vedere che siamo davvero governati da istituzioni serve dei poteri forti e distanti anni luce dai poveri Cristi come noi?
Anche questo l'avevamo detto a suo tempo ma... s'era detto di evitare le polemiche, no? E allora concentriamoci su altro. Pensiamo a salvare la vita a qualche imprenditore o artigiano e alle loro famiglie. Alla resa dei conti penseremo presto. Molto presto!

Roberto Marzola.

lunedì 16 aprile 2012

MAI DALLA PARTE DI ISRAELE


L’ultima tendenza in Italia è quella di descrivere Israele come un Paese da prendere ad esempio. Le parole d’elogio vengono da ogni dove: da Fini a Monti, da Saviano a Travaglio, da Veltroni a Umberto Eco. Tutti questi “grandi pensatori” di casa nostra non hanno mancato di celebrare “l’unica democrazia del medio oriente”; hanno sottolineato come “questa democrazia sotto assedio si sta costruendo, si è costruita, ha raggiunto degli obbiettivi importanti, anche sul piano dell’accoglienza”; lo hanno eletto come “amico dell’Occidente contro la minaccia araba”.
Parole che fanno accapponare la pelle; parole che lasciano perplessi e che suscitano una domanda: ma questi signori sono così ciechi ed ignoranti o, più semplicemente, sono solo dei grandissimi paraculo? Un interrogativo lecito, almeno per chi conosce un minimo la storia di questo Stato. Uno Stato che è una pura invenzione politica, perché privo dei tipici elementi "ontologici": non esiste una comunanza di sangue , né un territorio d’origine, né un popolo preciso. Niente di niente. Stiamo parlando, infatti, di un popolo che non esiste più dal 722 a.C., anno della dominazione assira, seguita da quella babilonese, poi da quella persiana e da quella romana. Parliamo di una terra che ha smesso di chiamarsi “Judea” dal 135 d.C., allorché l’imperatore Adriano la nominò “Provincia Syria Palaestina”, ossia “terra dei Filistei”, un popolo di probabilissima origine indoeuropea. Sin da questa epoca risalente, non vi è traccia di un popolo o di uno stato ebraico. Le prime tracce si rinvengono soltanto nel XIX secolo, quando nasce il sionismo: il movimento ebraico per la nascita dello Stato di Israele. A cavallo tra ‘800 e ‘900 inizieranno i primi acquisti di terreni da parte dei coloni semiti. E’, però, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale che inizia a prendere davvero forma la “Terra Promessa”, a causa della caduta dell’Impero Ottomano e del mandato, conferito alla Gran Bretagna, di creare uno Stato ebraico. Cominciano subito le prime rivendicazioni da parte dei coloni: gli ebrei, guidati da Vladimir Jabotinskij, nel 1929 marciano sul Muro del Pianto chiedendo il riconoscimento dell’esclusiva proprietà della Città Santa in capo ai figli di Davide. Seguono anni di violenti scontri tra arabi ed ebrei. Questi ultimi faranno sovente ricorso al terrorismo come strumento di lotta: nel 1931, infatti, nascono le organizzazioni terroristiche Lohamei Herut Israel e Irgun Zvai Leumi, che faranno esplodere bombe in luoghi pubblici, uccideranno mediatori ONU e compiranno ogni sorta di atrocità contro la popolazione civile. A causa dei numerosi attentati, la Gran Bretagna rimetterà nelle mani delle Nazioni Unite il mandato per la creazione dello Stato d’Israele. 
Nel 1947 viene emanata la famosa Risoluzione dell’Assemblea Generale n.181, con cui nasce formalmente uno Stato Ebraico. E’ l’alba della guerra arabo-israeliana del 1948, che causerà l’esodo di 700 mila profughi arabi, cui sarà impedito di far ritorno in patria dopo la guerra, in aperto contrasto con l’art. 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Seguiranno la guerra per il Canale di Suez, la Guerra dei Sei Giorni, lo Yom Kippur, le due Intifade, la guerra col Libano. Conflitti che Israele combatterà avendo sempre al suo fianco le potenze occidentale, (gli USA, la Francia, e la Gran Bretagna), causando la morte di quasi 30.000 arabi contro le circa 5000 ebraiche.  
Una storia, come si può ben vedere, fatta di violenza e alleanze trasversali, spesso condotta con metodi contrari alle leggi internazionali, di guerra ma non solo; dei metodi criminali, dunque, che di certo Israele non ha messo da parte. Da decenni, infatti, prosegue una vera e propria pulizia etnica contro la popolazione palestinese, compiuta nel silenzio assordante della comunità internazionale: missili su scuole, ospedali ed abitazioni civili; bombe al fosforo bianco, (vietate dalle Convenzioni Internazionali); uccisioni preventive di presunti terroristi di Hamas senza lo straccio di un processo; blocco dei valichi, che soffocano l’economia palestinese ed impediscono l’approvvigionamento di viveri e medicinali; bambini usati come scudi umani; espropriazione di terre coltivabili per la costruzioni del celebre muro; diritti speciali per i cittadini israeliani e pochissimi diritti riconosciuti a quelli palestinesi…
Questo è ciò che Israele quotidianamente compie nei confronti della popolazione palestinese, che – va detto- sicuramente non è composta da soli terroristi di Hamas. La rete è piena di prove in tal senso: video, interviste,  relazioni internazionali e quant’altro. Basta una semplice ricerca. Se non vi basta, potete leggere ciò che da qualche tempo hanno preso a fare e a dire intellettuali di livello mondiale per denunciare le violenze di Israele ed il suo tentativo di pulizia etnica. José Saramago, in tempi non sospetti, fece affermazioni chiare ed inequivocabili: “Gli ebrei non meritano più comprensione per le sofferenze patite durante l'Olocausto. Vivere nell'ombra dell'Olocausto ed aspettarsi di essere perdonati di ogni cosa che fanno, a motivo della loro sofferenza passata, mi sembra un eccesso di pretese. Evidentemente non hanno imparato molto dalla sofferenza dei loro genitori e dei loro nonni”. A chi lo accusò di antisemitismo, rispose in una lettera congiunta, in cui, parlando dell’operato di Israele, disse: “[…]accuse e solenni promesse, servono solo da distrazione per evitare che il mondo presti attenzione ad uno stratagemma militare, economico e geografico di lungo termine il cui obiettivo politico non è niente di meno che la liquidazione della nazione palestinese. Questo bisogna dirlo forte e chiaro perché lo stratagemma, solo per metà manifesto, ed a volte occulto, avanza molto rapidamente nei giorni che passano e, secondo la nostra opinione, dobbiamo riconoscerlo quale è, incessantemente ed eternamente, ed opporci ad esso”(fonte).
Per la causa palestinese si è speso anche Nelson Mandela, il quale nel gennaio del 2009 scrisse una lettera ad un articolista del New York Times, (consultabile per intero qui), in cui disse: “Thomas, se vedi i sondaggi fatti in Israele negli ultimi trent’anni, scoprirai chiaramente che un terzo degli israeliani è preda di un volgare razzismo e si dichiara apertamente razzista. Questo razzismo e’ della natura di: ‘Odio gli arabi’ e ‘Vorrei che gli arabi morissero’. Se controlli anche il sistema giudiziario in Israele, vi troverai molte discriminazioni contro i palestinesi. E se consideri i territori occupati nel 1967, scoprirai che vi si trovano già due differenti sistemi giudiziari che rappresentano due differenti approcci alla vita umana: uno per le vite palestinesi, l’altro per quelle ebraiche. Ed inoltre, vi sono due diversi approcci alla proprietà ed alla terra. La proprietà palestinese non è riconosciuta come proprietà privata perché può essere confiscata. […]Israele ha privato milioni di palestinesi della loro proprietà e della loro libertà. Ha perpetuato un sistema di gravi discriminazioni razziali e di disuguaglianza. Ha sistematicamente incarcerato e torturato migliaia di palestinesi, contro tutte le regole della legge internazionale. In particolare, esso ha sferrato una guerra contro una popolazione civile, in particolare bambini”.
Di recente, anche il Nobel per la poesia Gunter Grass ha deciso di alzare la voce contro Israele, scrivendo una poesia dal titolo: “Quello che va detto”, (qui la traduzione), in cui il poeta tedesco confessa:
Mi sento oppresso dal peso della menzogna
e costretto a sottostarvi, avendo ben presente la pena in cui si incorre
quando la si ignora:
il verdetto di 'antisemitismo' è di uso normale.
Versi e confessioni che gli sono valsi un veto: quello di non poter entrare in Israele. Una sorte simile ma ancor più atroce, invece, è toccata al premio Nobel per la pace Maguire: espulsa perché aveva cercato di rompere il blocco di Gaza, dopo sei giorni di carcere. Blocco ed espulsione toccati in questi giorni anche agli attivisti filo-palestinesi di “Flytilla”, tra cui l’italiano Vauro. Non si può certo che Israele sia incoerente da questo punto di vista!

Direi che simili gesti, simili scelte politico-militiari e simili atti di guerra si commentano da soli, senza bisogno che io aggiunga altre parole. Aggiungo solo che quanto ho scritto fino ad ora mi induce a ritenere Israele un pericolo per gli equilibri economici e politici dell’intero bacino medio-orientale. Anzi, vi dirò di più: Israele è forse il peggior nemico dell’Occidente, del quale rappresenta l'esatta negazione. Un nemico che, in quanto tale, più che avvicinato, va isolato e combattuto senza tregua su tutti fronti, smarcandosi dalla solita retorica e dai soliti tentativi di riallacciare le denunce contro l'operato d'Israele all’Olocausto degli anni ’40, (come puntualmente avviene!), con il quale, invece, non hanno niente a che vedere. Dobbiamo farlo; dobbiamo per forza di cose sostenere il popolo palestinese perché riacquisti la sua sovranità, la sua indipendenza e il suo diritto all’autodeterminazione. Non tanto e non solo per mera solidarietà, ma perché ce lo impongono la nostra cultura, la nostra coscienza, la nostra civiltà, i nostri valori e le nostre idee. Boicottiamo Israele, dunque. Più che un motto. Praticamente un imperativo morale. Categorico ed occidentalissimo.

Roberto Marzola.


venerdì 13 aprile 2012

QUANDO LA SINISTRA IMPAZZIVA PER BOSSI


Quante critiche ad Umberto Bossi e a suo figlio! Ovviamente, se le storie sui conti privati della sua famiglia messi a carico della Lega sono vere, direi che se le è proprio cercate e meritate. Una cosa, però, mi dà enormemente fastidio, forse più dei privilegi e dei privilegiati: la sfacciataggine.
Mi riferisco alla faccia tosta che, come al solito, mostrano i compagni: da 15 anni a questa parte ne hanno dette di tutti i colori sul conto del leader leghista; prima del sodalizio con Berlusconi, invece, era tutto rose e fiori. Non ci credete? Forse allora non sapete che Umberto Bossi è un prodotto di sinistra. Il suo impegno politico nasce sotto l’insegna della falce e martello: prima il circolo comunista de “il Manifesto”, poi il Partito di Unità Proletaria per il comunismo e infine il Partito Comunista Italiano. Solo negli anni ’80 cambia idea ed inizia a maturare propositi autonomisti e secessionisti.
L’idillio vero e proprio con la sinistra dei salotti buoni d’Italia, però, avviene nel 1994 con il cd. “ribaltone”: la Lega Nord presenta una mozione di sfiducia contro il governo Berlusconi, mandandolo sotto nelle votazioni presso le Camere e costringendolo a lasciare il posto al governo Dini nel gennaio 1995, (a quel governo che, tanto per intenderci, portò a compimento la riforma dell’abuso d’ufficio giusto in tempo per salvare il deretano di Prodi, indagato proprio per abuso d'ufficio per la vicenda SME). I compagnucci d’Italia vanno in brodo di giuggiole. Si spellano le mani dagli applausi. Pensate, ad esempio, che Giorgio Bocca in quel periodo scrive: «Bossi ha il genio dei narratori popolari per i paragoni che fa, le immagini che crea. Del resto è un movimento nato tra le montagne del Bergamasco... ». La dose viene rincarata da Enzo Biagi, il quale parla di Bossi come di «un politico fine con un grandissimo istinto (...) Diceva Tolstoj che i Napoleoni non nascono a caso». Ma è un po’ tutta la sinistra italiana, non solo quella della carta stampata, a strizzare l’occhio al senatùr. Lo vede come l’uomo della provvidenza, l’uomo giusto per stroncare il nascente pericolo berlusconiano. Allora, tutto gli è concesso e tutto gli è perdonato: le sparate secessioniste, le battute volgari, i discorsi contro l’immigrazione, (solitamente visti di cattivo occhio a sinistra), e tutti gli altri aspetti caratteristici che hanno contraddistinto Bossi in questi anni, allora non contavano nulla. Già, allora...
Come al solito, insomma, certi signori soffrono di una carenza di memoria storica. Non ricordano o fanno finta di non ricordare le benedizioni, gli occhietti languidi e le effusioni. Adesso Bossi è solo uno dei tanti nella lista dei nemici e, come tale, pronto per essere oggetto di ogni sorta d’insulto. Come durano poco gli amori a sinistra: finiscono sempre per lasciare spazio all’odio. E’ successo ieri, succede di nuovo oggi. Tutto cambia: gli uomini, le stagioni politiche, le stagioni... Tranne i compagnucci di casa nostra, (o almeno buona parte di essi): loro restano sempre i soliti vigliacchetti. Poveracci!

Roberto Marzola.

giovedì 12 aprile 2012

STOP AI FINANZIAMENTI PUBBLICI AI PARTITI. E NON SOLO AI PARTITI!

E' l''argomento caldo del momento: i finanziamenti pubblici ai partiti. La folla, indignata dagli ultimi avvenimenti, (case comprate, regalate e ristrutturate e quant'altro), chiede che vengano subito interrotti; altri, forse ritenendosi più lungimiranti ed intelligenti, sostengono che sia un bene che rimangano, per mettere la democrazia al riparo dal Berlusconi di turno. E' appena il caso di sottolineare, giusto per mettere le cose in chiaro, che i sostenitori di quest'ultima opinione vengono quasi sempre dal centro-sinistra. Hanno l'ossessione per gli uomini danarosi che scendono in politica...Sì, ma solo quando si chiamano Silvio Berlusconi! Mai che dicano nulla, infatti, quando i signori in questione sono i De Benedetti, da decenni deus ex machina dell'orizzonte politico post-comunista, proprietario del gruppo "L'Espresso", (tra le cui fila spicca il quotidiano "La Repubblica"), nonché principale beneficiario di quella truffa in nome dell'ecologia che risponde al nome di "conto energia".

Sorvoliamo e parliamo di pubblici danari. Sì, perché anche io mi schiero dalla parte di coloro che non ne vogliono più sapere di finanziamenti pubblici ai partiti. Ritengo semplicemente inconcepibile che un partito di scala nazionale debba essere sostenuto dai tutti i contribuenti, anche da quelli di diverso colore politico. E' un'assurdità: se non ti do il voto in quanto ti ritengo un pericolo per il mio Paese e per le mie tasche, perché mai dovrei darti i miei soldi? Perché, poi, gli italiani dovrebbero continuare a finanziare le casse di partiti che sostengono un governo che non fa gli interessi degli italiani? Ancora: per quale motivo sostenere dei macro-organismi che, spesso e volentieri, hanno ingenti patrimoni immobiliari e dei veri e propri colossi economici alle spalle, che ne finanziano l'azione politica?
Ecco allora la mia proposta: i partiti politici imparino a sostenersi e a camminare con le proprie gambe; imparino a mantenersi come fanno tutti gli italiani: coi propri soldi! Al massimo chiedano donazioni e contributi agli iscritti e ai simpatizzanti. Tuttavia, mi rendo conto che questa sarebbe una strada in salita, dato che richiederebbe lo sforzo di tornare a far politica, di far appassionare nuovamente la gente alla politica. Un risultato conseguibile solamente se si comincia a fare gli interessi della gente, non delle banche o dell'Unione Europea.
Ma vi dirò di più: come i partiti devono imparare a compartarsi i giornali e le TV. Abbiamo (avete?) scelto un sistema di libero mercato? Siano allora  tutti capaci di reggersi sul mercato, senza aiuti ed aiutini vari, compresi giornali e TV; sappiano offrire un servizio gradito ai più, altrimenti chiudano i battenti e lascino il posto a chi è in grado di assecondare le richieste e le esigenze della massa. Quei soldi vengano piuttosto destinati alle imprese, ai lavoratori disoccupati, ai ragazzi in cerca di un primo lavoro, a borse di studio o a progetti di ricerca. Vengano, insomma, spesi per stimolare una crescita che vada a beneficio di tutti, non di qualcuno solamente.
E' forse chiedere troppo, specie in tempi di crisi? Certo che è troppo. Non a caso, da che mondo e mondo, la tanto decantata "demokrazia" non è mai stata ispirata per il bene dei più, ma solo a vantaggio di qualcuno. Eccovene un'altra dimostrazione. Buon risveglio!

Roberto Marzola.

martedì 10 aprile 2012

E SE COMINCIASSIMO LA RIVOLTA FISCALE?


Tira una brutta aria. Da quando si è insidiato il governo Monti, le tasse si sono inasprite di brutto: ICI, IMU, accise sui carburanti ecc. Non ci sarebbe neanche bisogno di ricordarlo, perché tanto ce ne siamo accorti tutti alla fine di ogni mese. Ce lo ricorderemo ancora meglio tra qualche settimana, tra la primavera e l’estate, quando dovremo pagare il primo acconto ICI; il massimo della “goduria”, (si fa per dire!), verrà però in inverno, quando dovremo pagare la parte restante.
Della pressione fiscale esagerata ed esasperante si è accorta pure quella “simpaticona”, (anche qui si fa per dire!), della Marcegaglia, che chiede al governo un piano per la riduzione delle tasse, le quali, a suo dire, pesano “per il 45% sul Pil e per chi le paga siamo ad una pressione fiscale del 60%, uno dei livelli più alti in Europa” (fonte); se ne infischia, invece, la Camusso, che dallo scorso novembre, in pratica, non ha mai abbandonato il sogno di una patrimoniale secca.  
Intanto, mentre il governo continua a mazzolare i contribuenti e mentre i rappresentanti sindacali degli imprenditori e dei lavoratori bisticciano tra di loro, le borse crollano, (Finanza online riporta che il Ftse-Mib tocca un nuovo minimo di giornata a 14.731 punti, con un ribasso che supera il 3%),  lo spread torna a far paura, (ormai sopra i 395 punti base, stando a quanto affermato da Wall Street Italia), e noi continuiamo a svenarci per fare la spesa, rifornire l’auto e quant’altro. Siamo alla canna del gas. Diventiamo più poveri giorno dopo giorno. La tanto millantata crescita non ci sarà, né potrà esserci finché continueranno a percorrere questa strada.
E non è finita qua. Non date retta al professor Monti: la crisi è tutt’altro che finita. Forse deve ancora iniziare. Così come, forse, deve ancora iniziare la stretta fiscale e finanziaria vera e propria attorno al nostro Paese. Se le cose vanno come è lecito prevedere, entro l’anno entrerà in funzione il “patto salva-stati”, ed i nostri conti passeranno in mano ad una autorità sovrastatale, dotata di autonomia d’azione, potere imperativo e di immunità,( proprio come vi preannunciavo qui). La vera crisi inizierà l’anno prossimo, quando ci saranno altri prelievi coattivi dalle tasche degli italiani per salvare forse la Grecia o forse la Spagna, il Portogallo o l’Irlanda. E allora sì che sarà l’inferno; allora sì che non avremo più nemmeno il pane in tavola.
Allora, visto quali sono le premesse, mi chiedo: perché non cominciare a fare qualcosa? Perché non iniziare a dare qualche potente, chiaro ed inequivocabile segno di insofferenza comune? 
Fino ad ora ognuno ha cercato di salvarsi come poteva, evadendo le tasse, ma non è questa la strada. Vi esponete solo a controlli fiscali sempre più severi. Serve invece un qualcosa di plateale e vigoroso: la rivolta fiscale. Chiudiamo il portafogli. Niente più tasse significa niente più soldi nelle casse dello Stato. Non diamo più un centesimo fino a che questo presenterà tutte le falle che prosciugano l’erario, a cominciare dal fenomeno del signoraggio. Vengano le Fiamme Gialle, (poveracce!), a fare qualche milione di verbali. Le vorrei proprio vedere: probabilmente non avrebbero più nemmeno le risorse economiche per fare i controlli! Succederebbe un finimondo: niente più stipendi pubblici, niente più servizi, niente più ospedali, né scuole. Nulla di nulla. Crollerebbe tutto questo carrozzone, sommergendo Napolitano, Monti e tutti i tecnici, nonché la Marcegaglia, la Camusso, i partiti conniventi eccetera. La rivoluzione sarebbe cosa fatta, senza nemmeno sparare un colpo, senza nemmeno un corteo. L’Italia avrebbe la possibilità di un destino diverso, più solido, più giusto. 
Già, la speranza; poca cosa, forse. Ma volete davvero mettere un Paese con la speranza di un futuro e un Paese, invece, con la certezza di non avere un futuro? Non so voi, ma io scelgo la speranza.
Roberto Marzola.  

giovedì 5 aprile 2012

ALLARME CRIMINALITA'. E LO STATO ITALIANO DIFENDE I CRIMINALI.

Ieri dalle mie parti è accaduto un episodio grave: un gruppo di malviventi, armati di pistola, ha fatto irruzione in una giolleria ed ha tenuto in ostaggio il proprietario. I rapinatori lo hanno colpito più volte alla testa per convincerlo ad aprire la cassaforte. Ottenuto ciò che volevano, lo hanno legato con del nastro isolante. Mentre stavano per scappare con la refurtiva, il caso ha voluto che nel negozio entrasse l'anziano padre del titolare. E' stato un diversivo; un imprevisto, che ha permesso al commerciante di prendere la pistola che teneva sotto al bancone e di aprire il fuoco contro quei rapinatori che lo avevano derubato, riempito di colpi in testa e che minacciavano di rapire il padre, per usarlo a mo' di scudo durante la fuga. Un membro della banda è rimasto al suolo dopo gli spari: una donna di 30 anni con vari precedenti penali. E' morta sul colpo, mentre i suoi compari se la davano a gambe.
Potreste dire: un episodio comune; una di quelle tragedie che, purtroppo, avvengono sempre più frequentemente in Italia. Avete ragione;  ma viverle da vicino fa tutt'altro effetto. Ti porta a ragionare, a toccare con mano le paure ed il pensiero della gente. E' un bel modo per interpretare la realtà circostante, per cercare di capire qualcosa in più sul fenomeno sociale.
Devo dire che è stato un avvenimento che mi ha riempito di interrogativi e che mi ha spaventato alla grande. Non perché mi ha fatto constatare a quanti pericoli ci espone questa società e questo stato di cose, (era una situazione di cui avevo preso già coscienza); più che altro, mi hanno intimorito le opinioni e i giudizi dei presunti intellettuali: politici, giornalisti e quant'altro. Ho sentito con le mie orecchie parole di biasimo per la vittima del reato, dipinto in più casi addirittura come un assassino e, per di più, anche vigliacco, perché ha sparato alle spalle. Tralasciamo la vigliaccheria, dato che questo è un Paese che, storicamente, nasce dal tradimento e dalle fucilate alle spalle. Pensiamo piuttosto a come si possa definire "assassino" uno che ha aperto il fuoco per difendere se stesso, la vita di suo padre e, non ultima, la sua proprietà? Più in generale: come si può giudicare l'operato altrui senza sapere cosa voglia dire rischiare la vita, standosene comodamente in poltrona a leggere il giornale? Questi interrogativi mi lacerano la coscienza. Non riesco a capacitarmi di quanta falsità, di quanta ipocrisia e, se vogliamo, di quanta faciloneria popolino questo mondo. Certo, è morta una persona che, per quanto disgraziata e socialmente pericolosa, resta pur sempre una persona. Ma chi o cosa ha spinto la signorina a compiere simili atti, se non la sua volontà? Non lo sapeva che a forza di aggredire il prossimo, prima o poi qualcuno avrebbe potuto reagire all'aggressione? Per favore, non ditemi che dovrei sforzarmi di capire le ragioni che potrebbero aver indotto la poveraccia ad intraprendere la carriera criminale: la povertà, il disagio sociale, la difficoltà di trovare un lavoro... Tutte balle! Conosco decine di persone sfortunate, afflitte da problemi economici e non solo. Sono persone che si arraggiano, che cercano di vivere alla giornata; ma mai nessuna di queste ha lontanamente pensato di impugnare una pistola e minacciare il prossimo. La criminalità è una scelta individuale, che si compie se c'è la volontà di intraprendere la strada più corta e più rapida; una scelta che non può essere accettata né coperta dal buonismo. Serve il pugno di ferro. Servono leggi così dure da scoraggiare anche il più disperato dei disperati. Lo Stato italiano cosa fa di fronte a tutto questo? Rassicura la vittima del reato? Si prende l'impegno di venire incontro alle esigenze di tutela e alla disperazione della gente comune, ormai stanca di subire attacchi continui dal delinquente di turno? Macchè! Mette sotto indagine penale la vittima del reato per omicidio colposo da eccesso di legittima difesa. Un atto dovuto dice la legge. Sarà pure dovuto, (e lo è), ma intanto quel povero Cristo, oltre ad aver vissuto un'esperienza difficile da dimenticare, sarà pure costretto a sentirsi dare dell'assassino, vuoi dagli inquirenti, vuoi dall'intellettualone di turno. Oltre il danno la beffa. Anzi, l'umiliazione. Benvenuti in Italia, dove lo schifo è di casa.

Roberto Marzola.

mercoledì 4 aprile 2012

IL "FENOMENO" VICHI E IL TENTATIVO DI CANCELLARE IL NEOFASCISMO

Lasciate che mi prenda una soddisfazione ogni tanto. Tempo fa riportavo le cronache dell'accanimento contro Casapound dopo i fatti di Firenze, sottolineando come essa fosse presa di mira in rappresentanza di un intero mondo, e ponevo l'attenzione sul possibile ritorno di un clima d'odio e di persecuzione politica. Bene, è passato un po' di tempo da quel mio modesto scritto e gli eventi sono andati proprio in questa direzione: c'è stato l'episodio delle pietre d'inciampo, la denuncia al responsabile nazionale di Casapound, Gianluca Iannone, e l'assalto al Circolo Futurista; ma ci sono state anche le polemiche dell'ANPI per l'intitolazione di strade e piazze ad Almirante, le aggressioni ai ragazzi di Forza Nuova e della Fiamma Tricolore, le parole di D'Alema, presidente del COPASIR, sul ritorno degli opposti estremismi eccetera. Avevo dato, insomma, un triste vaticinio su ciò che sarebbe successo e che poi è realmente accaduto. In parole ancor più povere: ci avevo preso. "Evviva!" (Notare il sarcasmo).
Dopo le denunce, le aggressioni dei centri sociali e lo sfogo dei giornalisti sui media, non poteva mancare il contributo della concubina di palazzo. Stavolta il ruolo è toccato a Caterina Guzzanti, che durante la trasmissione "Un,due,tre: stella!", (un programma che, quando va bene, non arriva al 5% di share, pensate un po' ! ), ha iniziato ad imitare Vichi di Casapound. Si tratta di quella che, secondo la sedicente comica, è la militante-media: ignorante, ingenua, facilmente raggirabile, vittima del suo fidanzato che l'ha costretta ad iscriversi all'associazione, incapace di spiegare le inizative che propone e con la testa infarcita di frasi fatte. Un messaggio piuttosto chiaro quello la Guzzanti vuole mandare ai suoi sparuti telespettatori: i militanti della cd. "estrema destra" sono dei perfetti imbecilli e non vale neanche la pena di prenderli sul serio.
Lasciamo stare ogni commento su questa signorina. Diciamo soltanto che questa "mente eccelsa" deve davvero molto a quel gran trasformista della politica che è il paparino, il quale, forte della sue conoscenze e della sua posizione di potere, ha inserito i figlioli nei salotti televisivi e negli studi cinematografici. La "famigghia" è la "famigghia" anche per questi ammirevoli signorotti democratici!
Non è però questo che mi interessa. Mi sta molto più a cuore sottolineare come la realtà dei fatti sia molto distante da quanto la Guzzanti, i media e i politici vorrebbero farci credere. Qui siamo davanti a migliaia di ragazzi, appartengano essi a Casapound, a Forza Nuova o a qualsiasi altra associazione, partito o circolo neofascista, che hanno cominciano ad aprire gli occhi e ad interrogarsi sulla realtà che li circonda. E cosa vedono? Un Paese allo sbaraglio, senza presente né futuro, soffocato come è dalle spire del capitale bancario e finanziario, una classe politica di inetti e corrotti, un circolo di presunti intellettuali incapaci di proporre uno straccio di soluzione al disastro attuale. Piuttosto che rassegnarsi ad un oggi alle dipendenze di mamma e papà e ad un domani di miseria e disoccupazione, hanno scelto di organizzarsi per studiare un'alternativa a questo sistema di cose, ormai prossimo alla marcescenza. Così, hanno preso a modello tutti quegli uomini che, in tempi non sospetti, ci avevano messo in guardia dall'avvento del capitalismo finanziario, fossero essi Pound, Mussolini, Che Guevara, Evola, Pasolini, Ghandi, il Dalai Lama o chiunque altri vogliate, senza fare alcuna distinzione ideologica, senza badare all'etichetta politica. Si sono impossessati delle loro idee e hanno visto in esse uno spiraglio di salvezza, una tenue luce di speranza. Rassicurati dal sogno di realizzare un mondo diverso, si sono poi messi all'opera, cercando di trasformare quelle idee in azione politica, sociale ed economica. Ed allora ecco venir fuori il progetto del mutuo sociale e la riforma del sistema bancario; le richieste per l'uscita dall'Euro, dall'Unione Europea e dalla nato e per la sovranità monetaria; le battaglie per fermare l'immigrazione selvaggia e per contrastare la "precarizzazione" del lavoro; le presentazioni dei libri più disparati per far circolare idee e proposte, e i concerti e le sfide di calcio e basket per cercare di avvicinare sempre più gente.
Come biasimarli per tutto ciò? O meglio: come biasimarci, (mi ci metto anche io, sperando che nessuno si offenda!), per aver osato leggere, per aver detto: "signori, l'Italia sta morendo!", e per esserci arrischiati nel proporre alternative concrete? Non sarà mica che questo slancio vitale, questo sprizzo di gioventù e questa voglia di aria nuova, fresca e pulita vi spaventa? Non sarà che la richiesta e il desiderio di un mondo più equo e trasparente mette a repentaglio i vostri loschi affari e i vostri disgustosi privilegi? Non sarà che non sapete più come inquadrarci perché non rispondiamo più a nessuna delle vostre sterili classifazioni e, allora, cercate di deriderci e demonizzarci?
Una cosa soltanto, cari signori, mi dispiace e spesso non mi fa dormire la notte: malgrado la comunanza di vedute ed obiettivi, non riusciamo ancora ad essere una sola anima ed un sol corpo. Manca ancora un potente collante che, forse, prima o poi verrà. Allora sì che ne vedremmo delle belle; allora sì che vi resterà ben poco da sghignazzare; allora sì che verrete inchiodati alle vostre responsabilità per i vostri assurdi crimini. Attenti!

Roberto Marzola.

lunedì 2 aprile 2012

FATECI LAVORARE!


In Italia, ormai, è emergenza disoccupazione. I dati dell’ISTAT sono sempre più impietosi: peggiorano di mese in mese, segno quanto mai evidente dell’assoluta inefficacia dell’operato dei tecnici. La questione è seria e complessa; ha valenza politica, sociale ed umana.
Politica perché dalla riforma del mercato del lavoro dipendono le sorti del governo Monti. Per chi non l’avesse capito, infatti, se passa la linea Fornero, probabilmente Napolitano chiederà la testa dei professori, poiché l’ampio appoggio dato a questi ultimi dal Partito Democratico sancirebbe la fine proprio del maggior partito della sinistra italiana, dato che simili misure scontentano anche e soprattutto l’elettorato di tale fazione. Un rischio che l’ex compagno, (chissà poi quanto ex!), Napolitano non è sicuramente disposto a correre.
Sociale perché, (come ho più volte detto e scritto), è l’intero apparato di sostegno delle classi meno abbienti che va a farsi fottere, vittima di un circolo vizioso: cala il lavoro, quindi diminuiscono i contribuenti; diminuendo i contributi, si depauperano le casse dello Stato che, di conseguenza, non ha più liquidità per pagare stipendi pubblici e pensioni, e per erogare servizi e ammortizzatori sociali.
Umana perché, (come ho già avvertito in un precedente articolo), stiamo assistendo ad un crescendo di “suicidi da insolvenza”, come li definì Giacinto Auriti, sulla scorta di Pound.
Eppure, il governo se ne frega, al pari dei partiti politici. E’ tutta una pagliacciata: sull’art. 18, in occasione del quale abbiamo assistito ad una manfrina tra casta e sindacati, in cui ciascuno ha condotto la sua lotta, ma nessuno in nome dei lavoratori; di recente, si è aggiunto anche l’exploit della Fornero, la quale ha fatto male i conti sui cd. “esodati”, (lavoratori di cui è stato ritardato il pensionamento proprio per le misure vagliate da Monti e soci): ne aveva contati circa 100.000, ma sono più di 325.000 (fonte). Altri uomini e donne che non sapranno cosa fare nell’immediato futuro per apparecchiare la tavola, a cui si aggiungono il 9,3% della popolazione italiana e il 31,9 % dei giovani (fonte). Un vero e proprio disastro, reso ancor più tragico dall’inasprirsi  della pressione fiscale e dalla corsa al rialzo dei prezzi dei beni al consumo.
Se questo è lo scenario, è abbastanza facile prevedere un malcontento dilagante, una nuova massa di disperati: non più immigrati sbarcati da carrette del mare, ma italiani ridotti alla fame in casa propria. 
E’ la mortificazione dell’uomo, inteso come essere autonomo, avente diritto all’affermazione della propria personalità, all’indipendenza economica e sociale; è la fine di un Paese e di un mondo interi. Un uomo che non è più un valore da tutelare a prescindere, ridotto come è, ormai, ad un ammasso informe di ossa, muscoli e quant’altro; un Paese ed un mondo che sono il piccolo feudo di pochi signori, liberi di fare ciò che vogliono di  tutti gli altri esseri che popolano il loro regno.
Come sono lontani i tempi in cui Virgilio scriveva che “tutto vince il lavoro accanito, e fra mille disagi l’urgente miseria”, e Conrad che è grazie al lavoro che “troviamo la salutare illusione di un’esistenza indipendente dall’universo intero”;  ancora: quei tempi in cui si proclamava in maniera solenne che “il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali, è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato”, e alle proclamazioni seguivano misure di sostegno e sviluppo per il mercato del lavoro. 
Insomma, poeti, scrittori, statisti ed intellettuali avevano capito che la libera esistenza dell’uomo passa dal lavoro e che lo Stato cresce se anche il lavoro e l’individuo crescono. Concetti tutto sommato semplici, ma non compresi da quei tecnici che, almeno in teoria, dovrebbero rappresentare la miglior intelligentia italica. Cosa resta, allora, di quei tempi andati? Una folla di nuovi poveri; l’ “urgente miseria” descritta da Virgilio. Una situazione su cui è lecito ragionare ed interrogarsi. Da parte mia, vi suggerisco un quesito, il primo che mi viene in mente: ma perché dobbiamo continuare a pagare i fallimenti di così tante mezze cartucce, travestite da menti eccelse? Stavolta, però, pretendo risposte.

Roberto Marzola.